Fake News pensionistico-contabili nel D.E.F.

da: F. Borgonovo, Libero del 29/04 e A. Signorini, Il Giornale del 30/04)

Vorremmo tanto conoscere il Cognome ed il NOME dell’anonimo estensore che – a pag. 94 del DEF – ha avuto il coraggio di mescolare in poche righe una mistura di spauracchi: il calo demografico, l’immigrazione, il debito pubblico. Nel DEF il governo Gentiloni afferma che:…”

1) Nel 2018 il COSTO dell’IMMIGRAZIONE CRESCERÀ (5 miliardi contro i 4,3 del 2017);

2) SOLO l’AUMENTO NETTO MIGRATORIO del 33% (dal 2018 al 2070) consentirebbe di ridurre sensibilmente il rapporto debito/PIL, con una riduzione media annua dello 0,36%… mentre

3) UN CALO NETTO del FLUSSO MIGRATORIO 2018-2070 causerebbe un aumento del  debito, con un aumento medio di 0.42 punti/anno.”

Questa fake news è ovviamente conseguente alle affermazioni analoghe di Tito Boeri e parte dal concetto che l’immigrazione (regolare ed irregolare) porti ad un aumento del lavoro degli immigrati, ad un aumento di tasse/contributi etc. etc.

Fake news, peraltro riprese ed avvallate dal Sole-24 Ore (“senza migranti sarà boom del debito”). No, Noi non ci facciamo prendere per il naso e la pensiamo come Claudio Borghi (responsabile economico della Lega). Riportiamo le sue parole:

“Siamo al delirio contabile….il costo dei migranti è superiore alle cifre del DEF: 5 miliardi di euro per la gestione degli ingressi ;1,4 miliardi per la spesa sanitaria (almeno  2.400 euro/anno procapite x 600.000…); ??? per i costi dei servizi vari (vestiario, tentativi di integrazione, carceri) …..e qual’è la percentuale di immigrati che paga contributi? ….in un periodo in cui la disoccupazione italiana è al massimo? …. Sapete cosa dovremmo fare per un risparmio immediato? Rimpatriare tutti i 600.000 clandestini ci costerebbe 2,4 miliardi (4.000/cranio). Così facendo, risparmieremmo subito 2,6 miliardi…”.

Commento di S. Biasioli

Insomma, la spesa pro immigrati ci costa  almeno 6,4 miliardi di euro/anno, ma l’UE ci regala solo 70 milioni, per questo scopo !

Commento all’articolo del Giornale di Vicenza del 12.04.18 (si veda nella sezione “Documenti”)

L’articolo in questione riporta informazioni sostanzialmente esatte.

L’unico errore macroscopico è legato all’affermazione che «i 321 ricorrenti sarebbero stati condannati a pagare le spese di lite, pari a mille euro a testa». Per nostra fortuna invece, la Corte dei Conti Veneta ci ha condannati a pagare mille euro in tutto, riconoscendo così la difficoltà della questione pensionistica.

(Commento di Lenin)

APS-LEONIDA: 55° Congresso Nazionale FEDERSPeV

L’APS-LEONIDA ha partecipato attivamente al 55° Congresso Nazionale FEDERSPeV (Salerno, 14-18 Aprile) nelle persone del Dr. Stefano Biasioli e del Prof. Salvatore Romano.

In particolare Biasioli e Romano hanno portato un importante contributo sia per quanto riguarda la progettazione e la organizzazione del volontariato pensionistico che per quanto riguarda la necessità di nuove iniziative legali contro i pluriennali ( passati, presenti e futuri) furti pensionistici.

Biasioli ha focalizzato la necessità di definire ulteriori argomenti di difesa: la presenza di una imposizione coatta solo sui pensionati e non sui lavoratori attivi, a parità di reddito; la anomalia che tocchi solo ai pensionati INPS over 1600 euro il compito si salvare i conti dello Stato; la falsità dei bilanci INPS legata alla mancata separazione tra assistenza e previdenza; la responsabilità di Boeri in questi bilanci truccati; la quantificazione economica del danno subìto dai pensionati in questi lunghi anni (2012-2018) con riflessi irreversibili sulle pensioni in essere; la tassazione pensionistica superiore a quella media UE; la lesione reiterata e pesante dei diritti acquisiti; l’incertezza pensionistica e sul welfare.

La platea FEDERSPeV è stata concorde su questi aspetti ed ha invitato i legali di FEDERSPeV e APS-LEONIDA di approfondire questi aspetti per attivare rapidamente ricorsi sia alla CEDU che alla Corte di Bruxelles.
Nulla sarà omesso!
Per quanto riguarda il volontariato sanitario, una commissione studierà gli aspetti normativi, per garantire ai volontari una assoluta tutela legale e corretti rapporti sia con i MMG che con le ASL.

M5s, il piano diabolico per tagliare le pensioni: dopo i vitalizi, le mani nelle tue tasche

Dal sito di www.liberoquotidiano.it – mercoledì 11 aprile 2018

Oggi il taglio dei vitalizi, domani le pensioni. Il piano di guerra del presidente della Camera Roberto Fico procede a tappe serrate, diretto verso la redistribuzione del reddito per legge e chissà, presto anche un nuovo sistema di piani quinquennali sulla produzione nazionale. Tra le primissime iniziative prese dal grillino rosso una volta arrivato a Montecitorio c’è stata la proposta di modifica al regolamento dei deputati, una mossa necessaria per modificare il calcolo contributivo dei vitalizi anche per quelli precedenti al 2012, ottenuti con il più generoso sistema retributivo. 

Dalla “operazione vitalizi”, i grillini contano di risparmiare più o meno 70 milioni di euro, non proprio cifre astronomiche per il bilancio dello Stato, ma dall’alto valore simbolico. 

Se dovesse passare a maggioranza la modifica del regolamento, come riporta il Giornale, la pioggia di ricorsi minacciata dagli ex parlamentari vitaliziati farà pochi danni. 

Quel che interessa al M5s è creare il precedente, così da spingere l’Inps a sottomettere a nuovo regime anche le vecchie pensioni, per il principio di uguaglianza di trattamento stabilito dall’articolo 3 della Costituzione. 

Ricalcolare le pensioni già erogate con il contributivo porterebbe a un risparmio di parecchi miliardi di euro per lo Stato, soldi utili per esempio per rilanciare l’idea del reddito di cittadinanza. 

Ma alla luce delle varie sentenze della Cassazione e circolari ministeriali, il taglio potrebbe essere possibile solo per gli assegni più alti. La questione però rischia di diventare presto più politica che giuridica, lasciando così che i numeri in Parlamento – e gli appetiti elettorali – prendano il sopravvento sullo stato di diritto e sulla tutela di risparmi e versamenti contributivi. 

Resoconto Assemblea APS-LEONIDA (Padova 7 aprile 2018)

L’Assemblea dell’APS-LEONIDA di sabato 7 aprile è stata un successo.

Oltre 120 i presenti e ben 109 le iscrizioni all’Associazione APS-LEONIDA. In una prossima lettera Vi forniremo tutti i dettagli.

Per ora ci limitiamo a dirVi che la prima Assemblea dell’APS-LEONIDA ha all’unanimità approvato lo Statuto e la composizione del Consiglio Direttivo nelle diverse articolazioni statutarie.

In tutti i presenti era evidente la volontà di proseguire l’azione di tutela delle nostre pensioni, senza incertezze e titubanze.

L’APS-LEONIDA pertanto costituisce un importante sviluppo dell’azione volontaristica pro-pensionati, da noi iniziata nel lontano dicembre 2014.

Ad maiora!

(Il Consiglio Direttivo)

Pensioni, perché abolire la legge Fornero sarebbe un delitto contro i giovani

Leggete con attenzione gli articoli contenuti anche nella Sezione “Documenti”.

Il nostro parere concorda con il…….

…… Commento di Giorgio Landi (CISAL) – 10.04.2018

…i cialtroni bocconiani continuano a spararle grosse, tentando di mettere l’una contro l’altra le generazioni. Tutte indistintamente vittime delle loro ricette draconiane di stampo liberista!

Da Giorgio Landi 10.04.18

Pensioni, la vergogna dell’Inps sugli assegni: a chi hanno regalato i soldi

Articolo tratto da “LiberoQuotidiano.it”  il 29.04.2018

di Sandro Iacometti

Il reddito di cittadinanza c’è già. Va in gran parte al Sud. E a pagarlo sono i pensionati. È questo il messaggio inviato ieri da Tito Boeri ai partiti usciti vincitori dalle urne, che tra i nodi da sciogliere hanno anche quello di conciliare le promesse elettorali sui sussidi di povertà con la difficile situazione dei conti pubblici. Perché, ha suggerito il presidente dell’ Inps presentando il primo bilancio del Reddito di inclusione (Rei), starsi ad arrovellare su dove trovare le risorse per interventi costosissimi quando una soluzione a basso costo è già pronta per l’ uso? L’ idea di Boeri, che con una mano continua a chiedere austerità per gli assegni previdenziali e con l’ altra continua ad elargire valanghe di bonus a chi non ha mai versato un contributo, è che il Rei sia qualcosa di molto vicino alla versione base del reddito minimo o di dignità proposto in forme diverse sia dai grillini sia dal centrodestra. «È un primo passo, ancora sottofinanziato, ma c’ è», ha detto. Conti alla mano, l’ economista della Bocconi voluto da Renzi alla guida dell’ Inps ha spiegato che il costo del reddito di cittadinanza proposto dal M5S è «di 35-38 miliardi», mentre con il Rei «si potrebbe fare tantissimo già con 5-7 miliardi, raggiungendo tutte le persone in povertà assoluta».

Leggi anche: L’Inps taglia le pensioni e regala la vacanza ai dipendenti

GUERRA DI CIFRE

Tralasciando la guerra di cifre subito scatenata dai grillini, che in base a dati certificati dall’ Istat stimano in 15-17 miliardi il costo della misura, e l’ anomalia di un funzionario pubblico che continua a proporre iniziative legislative senza mai dover rendere conto agli elettori, resta da capire per quale motivo il sostegno alla povertà debba essere fatto con risorse pescate dal bilancio di un ente che dovrebbe pensare più di ogni altra cosa a pagare le pensioni. E che invece sembra voler fare di tutto tranne che restituire ai lavoratori i contributi versati durante la propria vita professionale.

Certo, dal punto di vista sostanziale è lo Stato a pagare (con ingenti e incessanti trasferimenti di denaro) e non l’ Inps.

Ma se la distinzione contabile è chiara e trasparente, non si capisce perché, come ha più volte detto l’ ex sottosegretario Alberto Brambilla, tutti continuano a lanciare allarmi sulla sostenibilità del sistema pensionistico, quando è solo la spesa assistenziale a crescere ogni anno (siamo arrivati a 108 miliardi) mentre la gestione previdenziale è in perfetto equilibrio.

POMPA MAGNA

Il problema non ha mai sfiorato il governo uscente, che ieri ha celebrato in pompa magna la pioggia di quattrini distribuita ai poveri. «Non buttare a mare il lavoro fatto, perché il Paese non può permettersi una fiera delle velleità», ha detto il premier Paolo Gentiloni. «Credo che il reddito di inclusione sia qualcosa di importante che deve durare nel tempo», ha aggiunto il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.

Entrando nel dettaglio, i nuclei che sono stati beneficiati da misure di contrasto alla povertà, sia dal vecchio Sostegno per l’ inclusione attiva che dal nuovo Rei entrato in vigore dal primo gennaio, sono 251.000 famiglie per 870.000 componenti. Al momento, ha spiegato Boeri, è stato raggiunto quasi il 50% della platea potenziale (era 1,8 milioni di persone al primo step) ma a luglio la misura diverrà universale (vengono meno i requisiti familiari e restano solo quelli economici) e si punta a una platea di quasi 700mila famiglie e 2,5 milioni di persone interessate. Il sussidio (rispetto ai 780 euro mensili per persona singola e 1.638 euro a una coppia con due figli minori previsti dalla proposta grillina), raggiunge al massimo 187 euro per una famiglia composta da una sola persona e 485 euro in caso di almeno cinque componenti. L’ importo medio mensile è stato di 297 euro. Inutile dire dove siano andati gli assegni.

Sette nuclei beneficiari su 10 vivono nel Mezzogiorno. Campania, Calabria e Sicilia in testa. Nel dettaglio, per il Rei sono residenti al Sud 79.723 famiglie su 110.138 complessive (il 72,4%) con un importo medio di 309 euro contro i 256 del Nord. Per il Sia la percentuale di nuclei residenti al Sud è del 69,6% (83.004 su 119.226).

http://www.liberoquotidiano.it/news/economia/13323549/pensioni-tito-boeri-soldi-pensionati-per-sussidio-poverta-meridionali.html

Avviso ai (nuovi) governanti:

Avviso ai (nuovi) governanti: più che le pensioni saranno i conti pubblici a far fibrillare i mercati

05.04.2018 – Giuseppe Pennisi – http://formiche.net/2018/04/pensioni-mercati-governo-conti-pubblici/

Secondo l’economista Giuseppe Pennisi piuttosto che della previdenza occorre preoccuparsi di altri aspetti, più immediati, dei conti pubblici

Con l’inizio della legislatura, che questa volta coincide con l’avvio del ciclo di programmazione economica e finanziaria e di bilancio, si torna a parlare di pensioni in essere e future come area su cui focalizzare per trovare risorse. Dal 1992 ad oggi sono state fatte circa 22 riforme del sistema previdenziale; nessun Paese può reggere ad una tale frequenza di riforme (ciascuna con il nome del ministro che dice di averla concepita) perché ne consegue incertezza che ha un effetto negativo sui comportamenti di tutti gli agenti economici e, quindi, sulla produttività.

Ci può essere qualche settore specifico, come “i vitalizi” dei parlamentari, ma anche in questo caso occorre muoversi con cautela per non prendere misure retroattive che potrebbero essere contrarie alla Costituzione. Ci sono indubbiamente provvedimenti, come la cosiddetta “Legge Fornero”, che richiedono un affinamento in quanto varata frettolosamente ha comportato risultati discutibili, e tali da non essere in vigore in nessun Paese Ocse. Molti problemi potrebbero essere risolti separando nettamente assistenza da previdenza, come fa il Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali : ci si accorgerebbe che la spesa previdenziale in senso stretto è sotto al 14% del Pil, quindi inferiore alla media dell’Unione Europea, mentre la spesa sociale è una vasta area che richiede razionalizzazione e riordino da cui potrebbe sorgere economie.

Tuttavia, i nostri titoli di stato sono classificati BBB (rispetto allo AAA di quelli tedeschi e allo AA di quelli francesi) e sono molto soggetti agli umori dei mercati. Piuttosto che della previdenza occorre preoccuparsi di altri aspetti, più immediati, dei conti pubblici. Sono di queste ore le notizie degli avvertimenti di Eurostat in materia di contabilizzazione degli interventi per tenere a galla le banche venete; da soli portano il deficit 2017 sopra il 2% del Pll e lo stock di debito (sempre 2017) al 132% del Pil e dimostrano che la scorsa legislatura non è stata all’insegna del miglioramento ma del peggioramento dei conti pubblici.

Azzardato fare ipotesi per l’esercizio 2008 in corso. Un paio di settimane fa, la Commissione europea ha avvertito che per restare nell’ambito degli obiettivi concordati con Bruxelles , occorre fare subito una manovra di 5 miliardi di euro poiché più tempo passa nell’anno finanziario più cresce il disavanzo. A questa manovra, si dovrebbe aggiungere, per sterilizzare gli aumenti dell’Iva, delle clausole di salvaguardia, nonché prendere misure precauzionali in materia di servizio del debito, dato che è in atto un rialzo dei tassi d’interesse. Il Sole 24 Ore, un quotidiano che non è stato all’opposizione dei Governo Renzi e Gentiloni, ha calcolato in ben 30 miliardi l’aggiustamento da fare nel triennio 2018-2020, un’ipoteca pesante per chiunque assuma responsabilità di governo.

Cosa suggerire? Un rigorosa spending review secondo le procedure in atto negli Stati Uniti dalla prima Amministrazione Reagan e da allora solo ritoccate e aggiornate, e un piano straordinario per la riduzione del debito. Chi andrà a Palazzo Chigi e a Via Venti Settembre, infatti, non potrà chiedere il beneficio d’inventario.

 

Reddito di cittadinanza, scontro tra INPS e Grillini

Boeri alza la sua stima a 35-38 miliardi di euro, “una cifra molto consistente”. I 5S: “È falso, basta raccontare bugie”. L’Istituto di previdenza avvisa: “Chi si batte per queste misure rinunci alla tentazione di mettere la bandierina” 

Pubblicato il 29/03/2018 – Paolo Baroni su LA STAMPA 

«Il Reddito di cittadinanza ? Abbiamo rifatto i calcoli tenendo come riferimento il disegno di legge presentato dai 5 Stelle nel 2015 e il costo è ancora più alto dei 30 miliardi stimati a suo tempo – avvisa Tito Boeri -. Incrociando i nostri dati con quelli dell’Agenzia delle entrate si arriva a 35-38 miliardi di euro. Una cifra molto consistente».

Guerra di numeri 

«È falso, basta raccontare bugie» ribattono in presa diretta i capigruppo grillini aprendo un nuovo fronte polemico, l’ennesimo, col presidente dell’Inps. Per Grillo e Toninelli, infatti, «l’Istat ha calcolato 14,9 miliardi la spesa annua, più due di investimento il primo anno per riformare i centri per l’impiego».

Quindici miliardi contro 35-38: la differenza non è da poco. Molti economisti nei mesi scorsi, da Roberto Perotti a Francesco Daveri, avevano già fornito stime molto vicine a quelle di Boeri. Mentre i 5 Stelle si aggrappano alle stime dell’Istituto di statistica fonti dell’Inps spiegano tanta distanza col fatto che i 15 miliardi del progetto dei 5 Stelle incorporerebbero sia i cosiddetti affitti imputati (ovvero il valore virtuale dell’affitto di chi ha una casa di sua proprietà) sia una diversa valutazione dei redditi dei lavoratori autonomi. Nel primo caso gli affitti imputati andrebbero compresi sia nel calcolo del reddito che per stimare la soglia di povertà, visto che le condizioni delle famiglie bisognose con e senza casa di proprietà cambiano significativamente. Ma visto che il disegno di legge dei 5 Stelle non ne fa menzione esplicita l’Inps li ha sottratti, facendo venire meno una cifra che Baldini e Daveri sulla voce.info avevano valutato in circa 15 miliardi di euro. Altri 10 miliardi sarebbe invece il peso della differente valutazione dei redditi autonomi: quelli dichiarati al Fisco sono infatti significativamente più bassi delle dichiarazioni spontanee raccolte dall’Istat e quindi il differenziale da coprire attraverso il Reddito di cittadinanza sarebbe significativamente più alto. Però avvertono dall’Inps «non si tratta né di errori di stima né di bugie, quanto invece di tenere in considerazione in maniera corretta tutti i fattori». Ai 5 Stelle però l’uscita di Boeri non è andata giù e ieri a più riprese hanno sparato ad alzo zero contro l’economista bocconiano.

Boeri, presentando i primi dati sul Reddito di inclusione assieme a Gentiloni e al ministro del Lavoro Poletti, si è poi augurato «che chi si batte per queste misure rinunci alla tentazione di mettere le proprie bandierine o peggio di interrompere il percorso in atto, ma si impegni per trovare maggiori risorse». E quindi ha bocciato anche la proposta leghista di un Reddito di avviamento al lavoro (Ral). «Sarebbe un passo indietro, perché riguarderebbe solo i disoccupati, mentre il Rei da luglio diventa una misura universale, a beneficio di tutti». «Non dobbiamo buttare al mare il lavoro fatto dal nostro esecutivo, visto che funziona. Non possiamo permetterci una fiera delle velleità che ci porterebbe fuori strada» ha dichiarato a sua volta il presidente del Consiglio. «Si tratta di strumenti complessi e difficili da costruire – ha spiegato invece Poletti -. Sarebbe un peccato se si interrompessero e si smontassero». «Occorre andare avanti su questa strada» ha poi convenuto il portavoce dell’Alleanza contro la povertà Roberto Rossini, ricordando che per rendere davvero efficace il Rei basterebbe stanziare 5 miliardi. Stima su cui concorda anche Boeri: «Di miliardi ne bastano 5-7 miliardi non 38 e si farebbero già grandi cose».

Il Rei funziona 

I numeri illustrati ieri, del resto, confermano che il Rei funziona bene. Nel primo trimestre di quest’anno le persone che hanno beneficiato delle misure di contrasto alla povertà sono state poco meno di 900 mila, sommando a quelle che già ricevano il Sostegno di inclusione attiva i 316 mila ammessi al Rei. In pratica è già stato raggiunto il 50% della platea potenziale, con una maggiore incidenza al Sud (7 nuclei beneficiari su 10) e dove c’è più disoccupazione ed assegni molto più generosi: 297 euro in media a famiglia dai 245 della vecchia Sia.

Arriva il diktat della Bce: “Aumentate ancora l’età della pensione”

Antonio Signorini – 26.03.18 – 8:44

L’istituto di Francoforte pretende le riforme: un messaggio indiretto al prossimo governo.

Sembra ritagliato su misura per l’Italia l’ultimo richiamo della Banca centrale europea sulle pensioni.

Nel bollettino economico, l’istituto centrale di Francoforte chiede che i governi dell’area Euro non facciano passi indietro sulle riforme e si appella perché si intraprendano ulteriori interventi per innalzare, l’età evitando di frenare l’attuazione delle riforme già approvate.

Secondo la Bce l’invecchiamento demografico comporta «pressioni al rialzo sulla spesa pubblica per pensioni, assistenza sanitaria e cure a lungo termine. Ciò renderà problematico per i paesi dell’area ridurre il consistente onere del loro debito e assicurare la sostenibilità dei conti pubblici nel lungo periodo».

Nell’anticipo del bollettino di qualche giorno fa, la Bce aveva corredato l’analisi sulla previdenza con le stime sulla crescita della percentuale di over 65 rispetto alla popolazione lavorativa. Da poco più del 30% nel 2016 a oltre il 52% nel 2070. In Italia, dove questa percentuale è già ora fra le più alte in Europa insieme a Germania, Grecia, Portogallo e Finlandia, nel 2070 sarà a oltre il 60%, una condizione che il paese condividerà con Grecia e Cipro mentre il Portogallo deterrà il primato negativo con il 67%.

La Bce ricorda che «hanno adottato riforme pensionistiche a seguito della crisi del debito sovrano». Peccato che ora «la rapidità di attuazione di tali riforme sia recentemente diminuita».

Il riferimento nemmeno troppo velato è all’Italia, anche se gli economisti di Francoforte specificano come non sia possibile «trarre conclusioni relative ai piani di riforma dei singoli paesi».

Il fatto è che, dopo la riforma Fornero, c’è già stato un intervento per attenuare gli effetti della riforma (l’Ape social, volontaria e Rita). Poi, nei palazzi delle istituzioni internazionali sono forti i timori che il nuovo esecutivo italiano, espresso da una maggioranza che ha tra i pochi punti in comune proprio quello di intervenire sulla previdenza, allenti ulteriormente i requisiti per la pensione.

La direzione da prendere è opposta: «l’implementazione di ulteriori riforme in questa area si rivela essenziale e non deve essere differita, anche in vista di considerazioni di economia politica».

Un richiamo molto simile a quello recente del Fondo monetario internazionale. Ma la Bce aggiunge un ulteriore tassello, specificando che l’unico modo per rendere sostenibile il sistema previdenziale è proprio quello di agire sui requisiti, quindi sull’età pensionabile.

«L’aumento dell’età di pensionamento» può «ridimensionare gli effetti macroeconomici negativi dell’invecchiamento». Abbassare l’importo delle pensioni, invece, può «contrastare in misura molto limitata tali effetti macroeconomici». Da respingere l’aumento di contributi che pagano datori e lavoratori, che rischia di esacerbare gli effetti negativi sui conti pubblici dell’invecchiamento della pensione.

Tra le righe, insomma, gli economisti della Bce bocciano interventi che puntino su una maggiore flessibilità in uscita in cambio di un calcolo meno favorevole dell’assegno previdenziale. Quindi anche l’Ape nelle varie versioni varato dai governi Renzi e Gentiloni. No all’aumento dei contributi, che poi è quello che propongono senza troppo clamore i sindacati.

Sì, invece, ad aumenti dell’età del ritiro. I richiami delle istituzioni internazionali riguardano spesso l’Italia, ma solo per ragioni di tenuta dei conti pubblici (nemmeno quelli strettamente previdenziali che sono in equilibrio). La nostra età del ritiro, per i pensionati del futurio, è già tra le più alte d’Europa.

Da: www.ilgiornale.it , 26 marzo 2018