PENSIERI in LIBERTÀ da “vecchio” Medico…

di Stefano Biasioli – venerdì 15 maggio 2020

Da vecchi medici Noi sappiamo per esperienza che “la scienza o presunta tale” cozza contro la medicina pratica e con la prassi.

C’era una malattia da affrontare, un virus su cui si sa poco, tranne che è partito dalla Cina, forse in Ottobre (giochi militari) e su cui c’è stato per almeno 2 mesi un silenzio cinese, con la OMS che ha dimostrato la sua inutilità dicendo tutto e il contrario di tutto. Idem in Italia, dove tutti i membri governativi + ISS + AIFA + AGENAS  hanno colpevolmente taciuto e si sono fatti trovare impreparati. Pensate alle partite a Milano, Spezia, Torino.

Il SSN è fragorosamente crollato e, per fortuna, varie sanità regionali hanno avuto gente capace. Più nel Triveneto, che in Piemonte e Lombardia.

Adesso il virus sta scemando e “questi noti” vorrebbero farci continuare ad essere “sudditi con la mascherina fino a Natale”, sospendendo i diritti civili e distruggendo l’economia. Pensa al turismo, ai ristoranti, al piccolo commercio.

Per i farmaci, idem. Avrebbero voluto che “i nostri” combattessero a mani nude in attesa di “studi controllati e di linee guida futuribili”. Per fortuna “i nostri” hanno capito alcune cose essenziali: in ospedale, zone Covid e non Covid, potenziamento delle malattie infettive e delle pneumologie, uso “molto attento” della rianimazione (dopo la botta iniziale)”.

E “i nostri” hanno fatto uso dei farmaci “off label”, alla faccia della task force romana. Plaquenil, antinfiammatori, miscele varie, eparina a basso peso molecolare (data la scoperta della CID), plasma, plasmafiltrazione, cartucce chelanti la IL6. Molti si sono dimenticati del complemento e hanno puntato tutto sui linfociti B.

Sono morte 32.000 persone “DI COVID o CON COVID”. Ho rispetto per i morti, ma 32.000 su 60 milioni…. e, nel frattempo, è raddoppiato il numero dei morti di infarto e sono stati trascurati gli oncologici.

Adesso, giustamente, la gente vorrebbe sapere se è sana, se è portatrice sana, se ha avuto la virosi. Ma fare i tamponi e i test venosi è difficilissimo.

Perché ?

Perché ? Dobbiamo tutti restare nel dubbio, odiare i vicini, visitare i malati senza toccarli o guardarli in faccia. Mi fa paura la FIMMG che (Casarà, 3 gg fa a Venezia) pensa di risolvere i problemi sanitari italiani con i 320 milioni stanziati l’anno scorso (con la finanziaria) per comperare supporti di telemedicina. Da mettere a casa…di quanti vecchietti o malati vari?

Come sarà pagato questo loro tempo e quante volte ricorreranno- in seconda battuta-  agli specialisti (cardiologi, internisti etc), che lavoreranno gratis o no?

Prima dei presìdi (ECG; Holter a domicilio) va fatto il cip anamnestico da inserire sulla carta sanitaria;

prima dei presìdi va fatta la diagnostica automatizzata dei referti (ci sto lavorando, con il mio caro amico R. S.,  da 15 anni e siamo a buon punto…) …occorre tornare alla semeiotica di base e alla maieutica col paziente.

Ma, di tutto ciò, la FNOMCEO non parla, come non ha fatto nulla di serio/significativo per i Colleghi andati al macello a mani nude e per gli orfani e le vedove. Sono stati più vivaci gli infermieri.

Un abbraccio a Tutti,

Stefano Biasioli
Primario ospedaliero in pensione

DECRETONE

Articolo di Giuseppe Pennisi

Dopo settimane di complesse trattative, il “Decreto Marzo” rinominato “Decreto Rilancio, 400 pagine di articolato e quasi altrettante di relazione tecnica, è stato varato dal Consiglio dei Ministri e si può leggere in Gazzetta Ufficiale, non in una delle molteplici bozze che solerti portavoce di Palazzo Chigi consegnano a giornalisti amici e finiscono bene o male sul web.

C’è da nutrire dubbi sulla costituzionalità del provvedimento che contiene numerose norme “particolaristiche” che non quelle caratteristiche di urgenza che dovrebbe caratterizzare i decreti legge – alcuni articoli, tra i tanti esempi, riguardano il comune di Campione d’Italia (meno di 2000 abitanti), altri i concorsi alla Scuola Nazionale d’Amministrazione, altri il fascicolo sanitario elettronico, altri ancora la nuova nazionalizzazione di Alitalia, altri la sanatoria (più o meno mascherata) di immigrati clandestini e così via. Sono forse di provvedimenti che hanno singolarmente una loro giustificazione ma che sarebbero meglio collocati in disegni di legge oppure, se urgenti, in decreti legge settoriali o ordinamentali. Ciò permetterebbe anche un più ponderato esame da parte del Parlamento, sede in cui si potrebbero anche adottare miglioramenti delle singole misure. In tal modo, sarà impossibile entrare nel merito. Soprattutto, se per la conversione in legge si finirà con un maxi-emendamento approvato a colpi di voti di fiducia si porrà un problema di lesione dei diritti costituzionali non solo dell’opposizione ma soprattutto dei cittadini.

In analisi finanziaria, un euro equivale ad un euro sia che serva per comprare una liquirizia sia per fare elemosina alla porta della Chiesa. Quindi, 55 miliardi sono 55 miliardi sia che servano a dare supporto ad alcuni comparti e ad alcune categorie sia che vengano utilizzati per saldare debiti contratti su un lungo, od anche breve, periodo di tempo. E’ noto che in economia del benessere, alla luce di chiari obiettivi di politica pubblica, e se la macchina tributaria non funziona, un euro può valere più o meno di un euro a seconda della destinazione. Ma tali raffinatezze – a cui mi sono dedicato per decenni – non credo che entrino nelle discussioni del Consiglio dei ministri e dei vertici dei capi delegazione. Inoltre, anche nella manualistica, non si applicano ad un Paese come l’Italia, ad economia aperta e con vasto welfare supportato da una finanza pubblica che non può essere paragonata a quella del Ruanda.

Viene, quindi, a proposito una domanda di fondo: perché tante angosce (ritardi, riunioni notturne, tensioni, rischi della rottura tra componenti della simpatica brigata al governo del Paese, spread che sale e che scende, incertezza di individui, famiglie ed imprese) e tanti costi per tutti, per mettere a punto un decreto legge con l’obiettivo di iniettare 55 miliardi nel sistema economico? Non sarebbe stato più semplice, più facile e meno costoso saldare i 55 miliardi di debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese e, se del caso, fare alcuni provvedimenti mirati per alcuni comparti economici ed alcune categorie di cittadini?

In lavoce.info, Dario Immordino analizza il maledetto imbroglio del paradosso in base al quale il governo stanzia ingenti risorse per fornire liquidità alle imprese attraverso le banche, mentre le pubbliche amministrazioni non pagano i propri debiti dato che somme già stanziate in bilancio non si trasformano in pagamenti effettivi. È un’analisi giuridica (Immordino insegna all’Università di Palermo ed esercita la professione di avvocato) a cui si rimanda. Contiene anche suggerimenti per uscire dall’incaglio. L’ipotetico buon padre di famiglia che governa il Paese dovrebbe, con raziocinio, prima saldare i propri debiti e poi prendere nuovi impegni di spesa (accertandosi che sarà in grado di onorarli con puntualità, efficienza ed efficacia).

Sotto il profilo finanziario, i 55 miliardi del decreto comportano alti costi di transazione che gravano su tutta la collettività: i tempi e le ambasce per la preparazione del provvedimento, la sua approvazione e l’erogazione effettiva degli stanziamenti. Si può argomentare che il decreto riguarda imprese differenti da quelle che non riescono a riscuotere i propri crediti con la Pubblica amministrazione, nonché alcune categorie di cittadini e famiglie. È un argomento debole dato che l’esperienza degli ultimi mesi è che gli stanziamenti di decreti precedenti non arrivano a destinazione con la puntualità, efficienza ed efficacia dovute. Chi assicura che i nuovi impegni con imprese, cittadini e famiglie, vengano onorati più celermente e meglio?

Da quarant’anni, la “teoria economica dell’informazione” ci ha insegnato che l’incertezza (e la confusione) sono i peggiori nemici della crescita economica e, quindi, anche del “rilancio”. Imprese e famiglie pospongono scelte e decisioni in attesa di poterle prendere con chiara cognizione di fatto. Nella marea di tanti mini provvedimenti e di bonus (che – come è noto, a pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca – sembrano mance elettorali destinate a permanere per sempre), è difficile sia per le imprese sia per le famiglie, cogliere il senso dell’indirizzo di marcia. Anzi nel decreto affiora, ad una lettura veloce, un sapore anti-imprese, frutto di una tradizione culturale che –come ha ben sottolineato Angelo Panebianco sul Corriere della Sera da un lato esprime la decrescita felice (una bandiera del Movimento Cinque Stelle) e dall’altro all’anticapitalismo ed anti-mercato degli ex-post-neo- comunisti e della così detta “sinistra cattolica”. Con una cultura anti-imprese non si fa crescita e tanto meno rilancio.

Come verrà letto dalle istituzioni europee e dagli altri Stati dell’Unione europea? La loro preoccupazione riguarda principalmente la sostenibilità del debito dell’Italia. Essa necessita crescita, che richiede investimenti pubblici e privati. Il decreto non fa nulla o quasi in queste materie.

Ed i mercati? Anche loro chiedono crescita, soprattutto dopo la preoccupante sentenza della Corte Costituzionale tedesca.

Sarebbe stato più efficace su quattro misure, decretabili in due paginette: sgravi fiscali, supporto ai redditi ed ai consumi, sostegno ai comparti in maggiore difficoltà, snellimenti procedurali (per fare arrivare tempestivamente i finanziamenti ai beneficiari e per fare partire gli investimenti pubblici rimasti al palo).

Nota Isril n. 19-2020 IL CORONAVIRUS, il POPOLO e lo STATO

di Giuseppe Bianchi

Il termine “popolo” viene qui usato per rappresentare una comunità (la nostra) depressa e resa indistinta nel comune assoggettamento alla paura della pandemia. Il confinamento nelle case e la chiusura delle attività produttive, con la conseguente perdita di reddito per molte categorie sociali, sono state limitazioni di libertà accettate per la tutela della salute pubblica. L’individualismo indisciplinato degli italiani si è ricomposto nel rispetto delle regole collettive perché è apparso, fin da subito, evidente che il distanziamento sociale e i comportamenti elementari di igiene personale fossero le soluzioni più efficaci per contenere il contagio. Anzi va apprezzata la tenuta nel tempo di questa capacità di autoregolazione del popolo nonostante l’irritante pedagogia dei mezzi di comunicazione di massa con la loro riproposizione ossessiva del rispetto delle regole e il sovrapporsi di voci discordanti dei molteplici esperti e scienziati più interessati a duellare tra loro che informare i cittadini in ansia. C’era però un convincimento nel popolo: che la quarantena avesse un limite temporale nel corso della quale lo Stato predisponeva le misure necessarie per una seconda fase di ripresa delle attività e di allentamento delle limitazioni delle libertà personali. La prospettiva era quella di convivere con il virus riprendendo le attività in sicurezza e sapendo che nel caso di un nuovo contagio esistevano le strutture sanitarie predisposte alla cura… CONTINUA A LEGGERE QUI → Nota Isril n.19-2020_Il coronavirus, il popolo e lo Stato_12.5.20

POLITICI, POLITICANTI, SCIENZIATI, MAGHI e PERSONE NORMALI

di Stefano Biasioli – mercoledì 10 maggio 2020

Come al solito, in premessa scriviamo che chi mette nero su bianco questi pensieri ha una tara originaria.

Quello di essere stato un medico ospedaliero, con un ruolo attivo nella principale specialità esercitata (Nefrologia-Emodialisi), nel sindacalismo medico autonomo (CIMO, come Presidente nazionale dal 1999 al 2009 e come Segretario Regionale Veneto dal 1984 al 2009) e della dirigenza pubblica (CONFEDIR, come Segretario Nazionale dal 2008 al 2016). Dal 2010 è Consigliere del CNEL, di quel Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, da molti – a torto – considerato “la tomba degli elefanti”.

Posso quindi tranquillamente essere considerato uomo di parte. Ma nessuno mi potrà negare di essere “uno del mestiere” in grado di osservare con competenza quello che succede, in medicina e in politica. Sono sempre stato un uomo libero: non ho fatto carriera per meriti politici ma solo per meriti professionali; non sono né mai sarò “servo del potere”. Tanto meno lo potrei essere in futuro, perché – oggi come ieri –  sono libero di idee e di azioni e non devo fare carriera. Sto bene come sto. Con me stesso e con i miei pensieri, liberi.

Sono un Capricorno testardo, cui non sono mai piaciute le “cose storte” e che ha sempre detto e scritto quello in cui credeva, anche se non gli conveniva.

Ciò premesso, ecco il mio pensiero su quello che è accaduto e sta accadendo in questi mesi.

INCROCI di RESPONSABILITÀ e IRRESPONSABILITÀ

Il COVID-19 ha dimostrato l’inadeguatezza del sistema politico italiano. Ha dimostrato che, in caso di emergenza, la struttura attuale del governo del Paese ( centrale e regionale) è talmente “incasinata” da essere corresponsabile di un aumento della mortalità causata da questa virosi,  per un caos imponente tra  governance nazionale e governance  regionale, se non addirittura comunale. Dovremmo mettere sul banco degli imputati tutti coloro che hanno modificato nel 2001 il titolo V° della Costituzione, creando questo incrocio “impotente” di norme e contro norme. Chi fa chi, a chi compete cosa: regole poco chiare e competenze dubbie. Province fantasma e regioni/province a statuto speciale. Solo alcune, altre – che pur hanno chiesto maggiore autonomia con specifici referendum – tenute a bagnomaria, se non dileggiate.

SANITÀ

La gestione della sanità compete alle Regioni, ma il finanziamento della salute è frutto di scelte centrali, essendo legato al bilancio annuale dello Stato. Conseguenza?

In nome della perenne emergenza economica,si sono sottratte risorse al FSN (35-37 miliardi in 10 anni, secondo studi ormai asseverati), costringendo le Regioni a fare “le nozze con i fichi secchi”, ossia tagliando i posti letto ospedalieri, riducendo la sostituzione delle apparecchiature obsolete, non sostituendo i medici e i sanitari pensionati. Soprattutto i medici.

Ma, colpa ancora più grave, non si è provveduto(a Roma –Governo, inteso come Sanità e Istruzione) a modernizzare la sanità pubblica, intuendo che le patologie stavano cambiando e che occorreva finalizzare meglio le risorse utilizzandole come risposta alle acuzie insidiose (virosi varie) e all’esplosione delle  patologie croniche (invecchiamento e sue complicanze), con mezzi (diagnostici e strumentali) e personale adeguati. L’Università – nonostante gli allarmi dei sindacalisti medici – non ha modificato il suo schema formativo e non ha aumentato il numero degli specialisti in alcuni settori essenziali: anestesia-rianimazione; malattie infettive; geriatria-riabilitazione; cardiologia; nefrologia-emodialisi; immunoematologia; virologia-microbiologia, laboratorio.

Ossia, non si sono fatte scelte tecniche, MODIFICANDO DRASTICAMENTE il SSN, nato nel 1978.Non lo si è fatto, creando ingiustizie sanitarie, testimoniate storicamente (dati ISTAT) dalla “fuga dei malati” dal Sud al Nord.

Non si è voluto provvedere in modo adeguato. Si è invece scelto, per colpa soprattutto delle 7 Regioni “sanitariamente sprecone” al Centro-Sud, di trasformare la sanità italiana in una “azienda bocconiana”, creando sovrastrutture di gestione della spesa affidate a economisti o a igienisti. Distruggendo l’assetto organizzativo di Ospedali e Reparti e stravolgendo la carriera medica, partendo dal presupposto comunistoide che “ un medico vale come un altro” e “un tecnico sanitario vale come un altro”, dovendo essere valutati – entrambi- solo per la capacità gestionale e non per la valenza clinica.

Non più un asse gerarchico medico(Primario-Aiuto-Assistente, come da percorso professionale) ma “tutti dirigenti”, con i vertici (“Responsabili”) scelti in modo ancora più opaco che nei decenni precedenti. Una terna (senza graduatoria), con nomine – da parte del Direttore Generale (D.G)-  basate su “intuitu personae” e non  sul rispetto di una graduatoria professionale, frutto delle scelte di una vera commissione tecnica.  Invece, scelte politiche, opache, con il “nominato” perennemente in posizione “supina” rispetto al potere. Nomine a tempo, quindi a rischio. Ciò ha provocato un abbassamento del livello clinico, non favorendo l’emersione dei migliori.

Il COVID-19 ha dimostrato l’inadeguatezza del sistema politico italiano. Ha dimostrato che, in caso di emergenza, la struttura attuale del governo del Paese ( centrale e regionale) è talmente “incasinata” da essere corresponsabile di un aumento della mortalità causata da questa

A SCANSO di EQUIVOCI

In Italia, ancor oggi, esiste una medicina di eccellenza, esistono medici ammirati in tutto il mondo, esistono clinico-scienziati che hanno fatto progredire la medicina, nel mondo. Ma – lo scrivo con estremo sconforto – la media dei DIRETTORI di UNITA’ OPERATIVE COMPLESSE (così si chiamano oggi i Primari Ospedalieri) è BASSA. Bassa non tanto per carenza di nozioni ma per incapacità di reagire ai tagli sanitari, per paura di firmare decisioni clinico-organizzative pericolose per la carriera, per paura di delegare.

Per paura del D.G. e della magistratura, sempre in agguato e sempre in cerca di colpevoli.Come se la morte di qualcuno non fosse un evento normale, ma fosse sempre frutto colposo  di inadeguatezza medica e di atti criminosi.

I.S.S., AGENAS, AIFA, CONSIP, TASK-FORCE governativa

A livello centrale il COVID è stato affrontato con la nomina di ben 2  Capi-Commissari (Borrelli e Arcuri), che si sono avvalsi di qualche centinaio di “esperti”, spesso privi di competenze specifiche, sanitarie o emergenziali. Il Governo, cioè, non si è fidato dei tecnici di I.S.S., AGENAS, AIFA, CONSIP ma ha cercato di ripararsi  dietro questa task-force, rimasta nell’ombra (tranne che per alcune figure, sempre quelle), ammantata di mistero. Task force invocata, quando serviva, per giustificare decisioni caotiche, in contrasto tra loro, talvolta contrarie al buon senso.

È inutile soffermarsi, oggi, sulla decina di provvedimenti governativi e ministeriali assunti da Conte e C., dalla fine di febbraio in poi. Per fare chiarezza sulle responsabilità politiche di questi mesi, sono già pronte decine di esposti e di denunce, a una delle quali abbiamo collaborato nei giorni scorsi.

Per ora ci limitiamo a dire che, per decidere il SEQUESTRO DOMICILIARE dei CITTADINI, l’USO delle MASCHERINE e la DISTANZA tra le PERSONE, non era necessario ricorrere al parere di centinaia di esperti o presunti-tale.

Bastava aver studiato la storia (dalla peste “ manzoniana” in poi) e bastava emanare poche e chiare norme di “prevenzione e tutela personale”. Cosa non fatta.

Ancora. CONSIP e C. avrebbero dovuto avere a disposizione una quantità adeguata di “presìdi sanitari” di tutela, almeno per gli operatori sanitari:guanti, mascherine, camici, disinfettanti/igienizzanti. In modo da coprire adeguatamente la fase dell’emergenza. Avrebbero dovuto averli in deposito, con gare di approvvigionamento già espletate, in modo da far consegnare direttamente questi materiali dalle ditte produttrici alle singole ASL. Ciò non è stato fatto. Nonostante la virosi cinese fosse nota fin dall’inizio di Gennaio 2020.

Ancora peggio, CONSIP e Governo non hanno semplificato le procedure per l’acquistodi questo fondamentale e basilare materiale, compromettendo così la vita di decine di operatori sanitari, mandati allo sbaraglio senza adeguati mezzi di protezione personale.

La vicenda delle mascherine è esemplificativa della colpevole superficialitàcon cui i nostri governanti centrali hanno affrontato la virosi, negandone prima la validità dell’uso, poi rendendola obbligatoria, poi ancora pretendendo che anche il cittadino comune usasse “mascherine con  bollo CE o con idoneità sanitaria”, poi ancora imponendo un prezzo fasullo (0,50 euro + IVA 22%), che le rendeva ancor più introvabili. Infine (pochi gg fa) accettando il dato di fatto: “ gli italiani avevano risolto il problema mascherine con il classico –italico fai-da-te”. Cioè fabbricandosele.

GOVERNO e REGIONI

Il governo Conte, invece di emanare poche e chiare regole e AFFIDARE POI la GESTIONE della VIROSI TOTALMENTE alle REGIONI, ha invece ostacolato le iniziative regionali.

Valga per tutto l’esempio veneto. Se Zaia, di testa sua, non avesse BLINDATO VO’ EUGANEO, in Veneto la virosi avrebbe fatto piuù danni di quanto avvenuto in Piemonte, in cui il blocco è stato dato in ritardo.

Il GOVERNO / TASK FORCE non ha capito che, da subito, andava attuato un percorso sanitario specifico per gli infetti (ne abbiamo già scritto in un altro articolo) e che dovevano essere lasciati liberi  i clinici ad utilizzare tutte le terapie possibili (anche ad uso compassionevole) senza minacciarli a destra e a sinistra, dicendo loro che dovevano attenersi a inesistenti linee guida e ai risultati ( che arriveranno tra mesi !) di decine di studi clinici sui possibili/presunti farmaci antivirali, variamente associati tra loro.

Per fortuna, i medici hanno usato la loro testa e non quella della task-force.

Il virus è stato combattuto con tutti i farmaci esistenti sul mercato e anche – e giustamente- con il PLASMA dei GUARITI, nonostante diffide e minacce di invio di NAS e ispettori (Mantova docet!). Con il plasma, già largamente usato, dagli anni ottanta, per molteplici malattie autoimmuni, con buoni risultati. Il plasma, farmaco sicuro e molto meno costoso dei farmaci sintetici…

QUANDO AVREMO IL “LIBERI TUTTI”?

           Il Governo non ha avuto fiducia dei cittadini e, per mesi, li ha trattati da irresponsabili, chiudendoli in casa e impedendo anche relazioni “sicure”. Li ha chiusi in casa, mettendo in crisi l’economia, di interi settori.

            Il Governo Conte ha ritenuto gli italiani indegni di capire la gravità della virosi e di rispettare le regole dell’autotutela. Ha fatto financo chiudere le chiese e annullare i riti religiosi, mantenendo aperte le tabaccherie. Ha chiuso, giustamente, le scuole e le attività sportive, ma non si è posto il problema dei bambini, alla ripresa dell’attività lavorativa.

             NON HA VOLUTO UNA RIAPERTURA DIFFERENZIATA nelle diverse  REGIONI, sulla base dell’andamento della pandemia, ma ha tenuto tutti su un’unica barca…..”destinata ad affondare l’economia”.

             Ha promesso soldi a destra e a manca ma, ad oggi 10/05/20, sono arrivate solo delle mancette, a pochi soggetti. Ad oggi, solo 1/6 delle domande di CIG ha avuto una risposta concreta (Libero, 10/05,pag.2). Un giornalismo serio pubblicherebbe quotidianamente queste cifre, articolate per settore produttivo, raffrontandole alle promesse, che Conte ci fa dalla metà di Febbraio. E no, non è colpa della Europa cattiva.

             In alcune Regioni, tra le quali il Veneto, dal 10 APRILE TUTTI gli INDICI sul COVID hanno un TREND IN CALO. Si riducono i contagi, aumentano i guariti, calano i ricoveri ospedalieri. Eppure, anche in questi casi, il Governo non consente una riapertura totale della vita e delle attività economico-produttive.

              Perché? Perché non si vuole anticipare la svolta definitiva, senza aspettare il 1° Giugno?. Perché non si revoca lo “stato emergenziale”, codificato nel primo decreto legge fino al 30 Giugno?

              Perché, ancora una volta, non si ha fiducia nel comportamento responsabile del 95% dei cittadini?

              SE i GOVERNATORI (richiesta dell’11/05/20) resteranno INASCOLTATI, dovremmo trarre una conclusione.

              Cioè, che QUALCUNO cerca di lucrare politicamente il più possibile sulla “sospensione dei diritti costituzionali dei cittadini e del parlamento”, perché teme ciò che succederà a breve.

Non il giudizio di Dio, ma il giudizio dei cittadini. Che dovranno pur essere fatti votare, nelle Regioni in cui i Consigli regionali sono scaduti da mesi, e che si accorgeranno sulla loro pelle quanto ampia sia la crisi economica, quanta matrigna sia l’Europa e quanto non si sia stato fatto.

Perché una cosa è certa. Con questo virus dovremo convivere. Con altre virosi dovremo combattere. Ci auguriamo, combattere con altri mezzi e con un governo più snello e più preparato, ossia con un minor numero di “incompetenti”, diretti ed indiretti.

FREMANT OMNES, DICAM QUOD SENTIO !

Stefano Biasioli
Primario ospedaliero in pensione

(Per chi volesse scaricare il testo in PDF)

Link della pubblicazione su Startmag.it 

Errori su importi pensioni erogate, in arrivo numerose lettere da INPS

di Chiara Compagnucci pubblicato il

Succede anche all’Inps di sbagliare e come insegnano gli errori del passato, a pagare il prezzo più salato sono i pensionati. Questa volta il caso è ancora più singolare perché gli sbagli del principale istituto di previdenza italiano sono all’eccesso. Proprio così: ha erogato assegni previdenziali più alti del dovuto.

Di per sé l’impatto dovrebbe essere limitato perché è sufficiente recuperare la differenza tra la cifra esatta e quella effettivamente corrisposta per risolvere il disguido.

Peccato solo che l’errore è stato ripetuto mese dopo mese fino ad accumulare anni su anni per arrivare a importi fuori misura.

E allo stesso tempo non si tratta di pochi casi isolati perché sarebbero numerosi i pensionati coinvolti in questa vicenda tragicomica. A tutti loro è stata naturalmente chiesta e pretesta la restituzione.

Di per sé nulla di legalmente scorretto, se non che il disorientamento provocato non può che essere molto diffuso poiché questi ex lavoratori si trovano al centro dell’attenzione a distanza di tantissimi anni e per cifre di diverse migliaia di euro. Vediamo tutto.

Pensioni sbagliate, arrivano le lettere dell’Inps

Succede che da un giorno all’altro i pensionati si vedono recapitare dall’Inps una lettera con cui viene chiesta la restituzione di somme indebitamente percepite.

E non si tratta di cifre di poco conto ovvero di poche decine di euro, ma di importanti variabili che possono essere ben maggiori di 10.000 euro.

Dipende dall’errore di calcolo commesso dall’Istituto di previdenza, ma anche dal numero delle mensilità in cui lo sbaglio è stato rinnovato e ripetuto. Il numero dei pensionati coinvolti in questa vicenda di restituzione di soldi da pensione è imprecisato ma la richiesta di tutela e di spiegazione agli studi legali è in aumento.

Di certo c’è che, sulla base dei casi resi pubblici, sono i pensionati con assegni dall’importo contenuto a trovarsi nel bel mezzo di questa storia. Pensionati per cui anche una minima variazione della cifra percepita tutti i mesi può fare la differenza.

Resta da chiedersi fino a che punto l’iter dell’Inps sia perfettamente corretto considerando una recente sentenza della Corte di Cassazione secondo cui l’istituto di previdenza può rettificare in ogni momento le pensioni per via di errori di qualsiasi natura, ma non potrebbe recuperare le somme già corrisposte, a meno che l’indebita prestazione sia dipesa dal dolo dell’interessato.

Errori Inps diffusi sugli assegni di pensione

A confermare la diffusione degli errori da parte dell’Inps è l’avvocato Celeste Collovati che al taccuini del Giornale ricorda il caso di un pensionato che si è rivolto a uno studio legale perché si è visto arrivare una comunicazione in cui l’Istituto nazionale della previdenza sociale gli chiedeva la restituzione di 14.000 euro con la motivazione di aver scoperto una variazione del reddito da pensione negli ultimi tre anni.

Ricorda anche il secondo episodio di una pensionata di 90 anni che ha ricevuto una richiesta di versamento da parte dell’Inps di 2.200 euro con l’Inps che contesta un aumento di reddito negli ultimi 7 anni. Ma, fa ancora presente l’avvocato, è una “cosa del tutto impossibile”.

PLASMA ANTI COVID-19, Zaia batte un altro colpo

di Stefano Biasioli – mercoledì 6 maggio 2020

Finalmente ! Da 2 mesi, noi “vecchi medici ospedalieri”  ci siamo battuti perché all’armamentario contro il Covid-19 si aggiungesse l’infusione,  ai soggetti con infezione ingravescente, del plasma dei malati guariti.

Illustri “virologi televisivi”(quelli che in 3 mesi hanno detto tutto e il contrario di tutto, senza dignità ed autocommiserazione) hanno detto che la plasmaferesi: “..non serviva.. era pericolosa….era inutile…era costosa…”, ignorando che la plasmaferesi è tecnica-prassi corrente da oltre 36 anni, in tutto il mondo e soprattutto in Italia.

Per i profani, la produzione di plasma può essere ottenuta o con la “tecnica della campana” (Centri Trasfusionali) o con una “tecnica in linea” (Nefrologie-Emodialisi). Il plasma prodotto è sicuro (perché trattato in modo idoneo), può essere stoccato e usato quando serve.  Inoltre, alla faccia di Burioni – Di Capua e C., la produzione e l’uso di detto plasma ha costi estremamente contenuti (non superiori a 60-80 euro/sacca), rispetto ai più recenti e costosi farmaci antivirali.

Quindi,il plasma dei soggetti guariti è utilissimo per i malati che stanno peggiorando: l’infusione del plasma ricco di anticorpi alleggerisce il decorso della malattia, riducendone gravità e durata. Va dato merito ai medici degli ospedali di Mantova-Lodi-Pavia di aver applicato, in questi mesi e in silenzio, tale procedura a qualche decina di pazienti, con buoni risultati. La prassi ha sconfitto la teoria.

Dando ragione a Noi “vecchi clinici” che abbiamo cercato di fare passare il “messaggio, frutto della nostra esperienza sul campo”. E, oggi, ecco un po’ di luce…

Oggi Zaia (Conferenza delle 12,30) ha annunciato due fatti importanti:

  • A Padova una sperimentazione con il plasma ha dato “buoni risultati che comunicheremo all’ISS”. Fin qui, niente di nuovo.
  • In Veneto verrà allestita UNA BANCA del PLASMA, frutto della donazione del plasma di 3.600 persone guarite. Tutte o in parte? I guariti – pensiamo Noi- ringrazieranno la sanità del Veneto, donando – in molti – il loro plasma, per aiutare i nuovi infetti.

Non solo ma Zaia ha esplicitato quello che Noi (vecchi medici ospedalieri, abituati alla prima linea e non alle retrovie) abbiamo sempre pensato. “Il ricorso al plasma dei guariti significa anche uscire dall’industria chimica ed entrare nel concetto biologico del trattamento”.

Concetto che è stato, finora, avversato, nel mondo come in Italia.

Riflettete. In attesa del vaccino, cosa si doveva fare? Non solo mascherine e guanti, ma una terapia per i casi sintomatici. Finora, si è provato di tutto, con un mix di farmaci, spesso con indicazioni diverse rispetto alla virosi attuale. Farmaci, ventilazione, intubazione….

Si è provato, giustamente, di tutto, cercando di salvare le vite umane, ad ogni costo e qualunque fosse il “costo economico e clinico” di questi sforzi.

         Per 3 mesi è stato fatto silenzio sul ruolo del plasma.

Adesso questo silenzio è stato rotto, grazie al lavoro “sul campo” dei Colleghi citati e ai buoni risultati ottenuti. Il plasma, da solo, non è un rimedio miracoloso ma il plasma – associato al resto – può impedire ai paziente di finire in rianimazione, con quel che segue.

         Per i pignoli, ricordo che le linee guida americane (IDSA)per il trattamento del COVID-19, varate il non lontano 15 Aprile, affermavano che…” tutti i farmaci proposti… idrossiclorochina (da sola o con azitromicina), l’associazione lopinavir+ritonavir, tocilizumab, cortisonici, plasma…dovevano essere usati NEL CONTESTO di UNO STUDIO CLINICO …(!!!)”.

Capite….la gente moriva e muore…e i medici avrebbero dovuto aspettare l’esito di studi clinici…senza far nulla.

No, in medicina le cose non vanno cosi!

Tra l’altro, sempre negli USA, analoghe indicazioni erano state date nelle virosi precedenti, senza che si sia mai arrivati ad una prassi codificata.

Per fortuna, gli ospedalieri se ne sono fregati (termine brutale ma vero !) e hanno affrontato la virosi con il buon senso clinico, usando anche mezzi non citati dall’IDSA: eparina a basso peso molecolare e plasma dei guariti.

Nelle ultime settimane (lo cita Medscape) anche negli USA si sono messi su questa strada..

Ma, ancora una volta, i medici ospedalieri italiani sono stati all’avanguardia.

Bravi!

Stefano Biasioli
Primario ospedaliero “in pensione” ma “pensante e attivo”

Articolo pubblicato su Startmag.it

COVID-19: UN PO’ ALLA VOLTA….

di Stefano Biasioli – martedì 5 maggio 2020

Pubblicato su StartMag.it il 5.5.20

Un po’ alla volta, stanno emergendo alcune verità fondamentali sul COVID-19. Per almeno due mesi la grande stampa e la massa delle TV, tutte prone davanti al governo Conte, hanno tenuto sottotraccia (termine eufemistico) alcuni elementi essenziali di questa pandemia.

Per non essere accusati di sciatteria, confermiamo che siamo convinti che si tratti di PANDEMIA. Ma siamo altrettanto convinti che si potesse fare di più, anche nella nostra nazione.

 I FATTI

Da anni comperiamo e leggiamo 5-6 quotidiani al dì e almeno 2 pubblicazioni informatiche.

In questi lunghi mesi di clausura domiciliare (sono ormai 2) abbiamo quotidianamente registrati e valutati tutti i numeri della virosi, quelli nazionali e quelli regionali veneti, e abbiamo messo in fila l’enorme massa di DPCM, di decreti ministeriali e di circolari applicative nazionali. Non abbiamo incluso le fake-risposte, aggiungendo invece le ordinanze venete.

Quindi, al di là dei numeri/statistiche dei giornali, abbiamo costruito dei grafici, sia nazionali che regionali. Grafici che hanno cercato di mettere in evidenza alcuni elementi trascurati dalle voci ufficiali.

Finalmente, domenica 3/5/20, vediamo comparire sul Corriere (pag.11) una bella figura che visivamente, con pallini di diversa grandezza e colore, mostra l’andamento del COVID-19 nelle diverse regioni Italiane.

Andamento ottimo nelle regioni del Sud ,nelle Isole e nelle Marche-Umbria(poco contagio globale, pochi infetti attuali, pochi morti); medio in Toscana, Lazio, Abruzzo; molto pesante nelleregioni del Nord.

 Dati ovvii, penserete. Non è così.

Infatti se le regioni industriali del Nord sono state massicciamente colpite fin dall’inizio, l’andamento successivo è stato ben diverso. La Lombardia –purtroppo- capofila, seguita da E. Romagna e Veneto ma poi, con il passar delle settimane, la virosi è esplosa in Piemonte mentre altrove il decorso diventava più favorevole.

In questi giorni, appare chiaro chein Val D’Aosta, Veneto, Friuli V.G., Emilia R., Liguria  e a Trento + Bolzano il numero dei guariti supera largamente il numero  degli infettati attuali.

Invece in Piemonte, Lombardia, Toscana, Campania e  Puglia è esattamente il contrario.

Nel complesso, in Italia, il numero dei guariti è ancora inferiore al numero attuale degli infettati (-21%) e rappresenta il 38% del fenomeno totale.

Conclusioni (di questa parte): la RIAPERTURA del PAESE AVREBBE DOVUTO TENER CONTO di QUESTI ANDAMENTI,  ossia generale in alcune regioni e graduale-programmata- in altre.  Questo, ennesimo, decreto di Conte, non tiene conto di questi dati, pur elementari e grossolani, ma solo delle previsioni formulate dagli esperti (!)

 MODELLI MATEMATICI: verità e falsità.

Finalmente, nei giorni scorsi, è stata fatta un po’ di chiarezza su questi aspetti, misteriosi per l’italiano medio, ma invocati come “VERITÀ DIVINA” dai nostri governanti.

Dobbiamo alla holding privata CARISMA l’aver messo in evidenza la criticità dello studio IIS –Kessler-Comitato tecnico-scientifico (CTS), rilevandone gli errori di metodo e di calcolo.

In breve, il modello presagisce , in caso di riapertura, numeri esponenziali di nuove infezioni e di occupazione di letti in terapia intensiva. E’ intitolato:” Valutazione di politiche di riapertura utilizzando contatti sociali e rischio di esposizione professionale”, con diversi scenari/ampiezze della riapertura, dopo i mesi di chiusura. Sulla base di queste previsioni il CTS conclude: “….essendo le stime attuali di Ro comprese tra 0,5 e 0,7, appare evidente dalle simulazioni se – con la riapertura- Ro fosse anche di poco superiore a Ro 1 (1,05-1,25) l’impatto sul SSN sarebbe notevole…quindi… lo spazio di manovra sulle riaperture non è molto…”. Da qui, una serie di indicazioni, su cui è basato il recente ed ennesimo decreto governativo.

Come ha osservato giustamente ZEUS (Libero, 3/5/20, pag.7) non si capisce la logica dei passaggi. “Lo studio passa per 3 soggetti – Fondazione Kessler, ISS, CTS- approda al quarto(governo), sfocia nel DPCM (Conte, quinto soggetto). E allora a che serve nominare una TASK-FORCE apposita , se poi questa deve recepire il parere di un Ente  pubblico, che a sua volta si avvale di un centro di ricerca privato? Più voci, nessuna garanzia, molta confusione”.

Concordiamo in pieno. Prendiamo altresì atto che nessuna voce contraria al citato documento è venuta dai “soloni” della Istruzione pubblica (Università, CNR, Fondazioni pubbliche) ma da una holding industriale, quale Carisma.

Clinici e non teorici, quali siamo sempre stati, contestiamo assolutamente l’idea che sta alla base di questo studio. Ossia calcolare il numero dei casi critici sul totale degli infettati – in altri termini il numero dei ricoveri nelle T.I.- derivandolo dall’indice R0, ossia dalla diffusione teorica del virus, in diversi scenari di riapertura: edilizia, scuola, ristorazione, commercio…, considerando diverse fasce d’età e attribuendo arbitrariamente un valore del 15-25% ai sistemi di protezione individuale.

Un’idea, non un dogma. Un’idea peregrina per diversi motivi:

  1. Perché è  basata sui dati (morti+ soggetti in terapia intensiva/totale infetti), già  vecchi (31/3/20), in presenza di una virosi che ha perso forza (in tutte le Regioni sopra citate) tra il 20 e il 27 marzo;
  2. Perché è finito l’effetto “sopresa”, quello che ha provocato migliaia di morti innocenti;
  3. Perché la % di pazienti ospedalizzati finiti, purtroppo, in terapia intensiva è fortunatamente pesantemente calata. In Veneto, ad esempio, siamo passati dal valore massimo del 30% (inizio pandemia) ad un valore sul 17% (fase intermedia) e poi al valore attuale del 9,73%, in continuo calo..;
  4. I protocolli sanitari sono miglioratie si è capito che, se trattati più intensamente all’inizio della infezione, meno pazienti arrivano in T.I. Anzi che, va fatto il massimo perché ciò non succeda.
  5. Se, esclusa la Lombardia, nessuna T.I. è arrivata alla saturazione, come è ipotizzabile che una recidiva della virosi produca più danni della sua fase iniziale?
  6. L’indice di riproduzione è opinabilee un modello predittivo epidemiologico così  costruito è poco scientifico. Lo stesso dicasi per quello previsionale più recente (si veda il CorSera del 3/05, pag.12). Troppe sono ancor oggi le variabili ignote: efficacia della clausura e dei mezzi di autodifesa (mascherine, guanti, gel); caratteristiche del virus (tempi di infezione, sensibilità alle alte temperature, sua evoluzione ossia “effetto gregge”; efficacia dei percorsi “specifici” extra ed intraospedalieri; efficacia del mix diagnostico e terapeutico.
  7. E, soprattutto, non tiene conto di un elemento fondamentale: il COMPORTAMENTO INDIVIDUALE, ad auto e ad altrui tutela. Comportamento che, in Italia, è stato largamente ottimale!

Insomma una serie di errori metodologici, cui ha fatto seguito una serie di conferenze stampa in cui si sono utilizzati, come minaccia per i cittadini, “ numeri spauracchio” di occupazione delle T.I., dieci o venti volte superiori al reale.

UN REATO di PROCURATO TERRORE, da perseguire.

CONCLUSIONI (parziali): (MEDICHE e MORALI)

MEDICHE

Chi scrive si vanta di essere stato, per lunghi 50 anni di vita ospedaliera, un “clinico ruspante”, un medico abituato a curare i suoi malati con impegno e scienza-coscienza, sempre. Un medico che, tra le altre cose, ha sempre chiesto ai pazienti, alle persone ammalate, di “aiutarlo a curarle”, di essere loro-lui-lei (i singoli malati) al fianco del camice bianco, anche e soprattutto nei casi più gravi.

E, in assenza di cure “codificate”, questo “clinico ruspante” – esattamente come fatto da moltissimi Colleghi- spiegava al paziente la precarietà terapeutica e gli proponeva – in assenza di linee farmacologiche sicure- l’approccio alla “terapia compassionevole”, ossia all’uso di farmaci/tecnologie codificati per altri scopi.

E, così, nel corso degli anni la medicina ha fatto progressi: con la terapia fatta sul campo (prima) e codificata e asseverata da studi clinici (poi).

Così, proprio così, l’Italia è diventata leader mondiale nelle tecniche dialitiche; così, proprio così, si sono fatti progressi farmacologici importanti: dai singoli casi clinici alla terapia ufficiale validata.

Due esempi, su tutti. Negli anni settanta, in terapia dialitica, l’uso della doppia pompa e del bicarbonato (al posto dell’acetato) nelle soluzioni dialitiche. Negli anni ottanta, l’uso degli ACE-inibitori per contrastare l’evoluzione delle nefropatie e l’uso dello SCHEMA di PONTICELLI, nella sindrome nefrosica di una certa tipologia.

Ma, esempi, potrei farne a centinaia. Anche oggi, in assenza di terapie codificate, i medici italiani hanno fatto così. Hanno provato di tutto, come dimostrano i fatti. Hanno provato, in attesa degli studi clinici codificati, che arriveranno “a babbo morto”. Ma questa è un aspetto che valuteremo in un prossimo articolo.

MORALE

Il comportamento (teoria e prassi) tenuto dalla POLITICA ROMANA è stato quanto meno criticabile.

Ci si è riparati dietro il parere del CTS, come alibi. Ma la politica deve fare delle scelte, sempre, altrimenti è inutile.

È mancata una visione sistematica e soprattutto la fiducia nei cittadini. Da ciò, l’assunzione di misure al limite della Costituzione, bloccando la libertà dei cittadini, anche quando il dato reale l’avrebbe permesso.

Conte e C. hanno preteso il controllo assoluto dei cittadini, senza avere né il carisma (che ci sarebbe voluto) né i mezzi.

Il carisma, Conte non ce l’ha né l’avrà mai, dato il suo stentato curriculum.

Sui mezzi, stendiamo un velo pietoso: la CONSIP – quella che doveva essere la garanzia per tutti – si è rivelata inadeguata: senza un deposito “sufficiente alla bisogna” dei presìdi necessari, associato alla incapacità  ad evitare grossolane truffe commerciali.

Da ultimo, un’affermazione fondamentale. Dai tempi dell’epatite (B,C,D..), dell’HIV, della mucca pazza, della viaria etc. etc. il RISCHIO CLINICO NON È PIÙ UN’ECCEZIONE ma la REGOLA.

In questi decenni abbiamo capito che anche il semplice uscire di casa è diventato pericoloso.

Lo stesso dicasi per le attività lavorative. C’è un rischio, sempre.

Non si può chiudere la gente in casa, per mesi o per anni. Occorre essere consapevoli dei rischi legati al vivere comune e comportarsi di conseguenza, da persone civili e consapevoli.

NON C’È BISOGNO di LEGGI o di DPCM, per questo!

La salute è un bene primario, lo so bene. Ma libertà e lavoro sono altrettanto essenziali, perché un uomo sano  senza lavoro e/o senza libertà non è un uomo nella pienezza del suo essere.

La vita umana è un bene unico, poiché la morte è irreversibile.

Ma i momenti critici vanno affrontati con decisione e intelligenza. Doti che la politica romana ha dimostrato di non avere.

 

Stefano Biasioli
Primario Nefrologo in pensione
Sindacalista medico, in pensione
Consigliere Cnel

“Ma non, per questo, vecchio da buttare”

RIFLESSIONI sul COVID-19 e DINTORNI: TEORIE e PRASSI

di Stefano Biasioli – domenica 3 maggio 2020

Concordo parzialmente con Riccardo Ruggeri (La Verità del 1° maggio): “..non  mi interessa l’aspetto politico della fase 2”, ma, a differenza sua, mi interessano….” prima l’aspetto sanitario e poi l’aspetto manageriale”.

Concordo ancora con Lui sul fatto che “…il premier sta gestendo la virosi aggrappandosi ad un club di virologi vanesi…”. Cui vanno aggiunti i 475 esperti di varia e dubbia estrazione, scelti sulla base dell’affinità politica e non certo della competenza in pandemie simili a questa.

Finalmente, dopo giorni di strani silenzi, anche i giornalisti di testate nazionali storiche si sono accorti che le previsioni catastrofiche fatte da Conte e dal suo team, su potenziali disastri causati da un eventuale “liberi tutti”, erano sbagliate, statisticamente e gravemente sbagliate.

Da medico, qualche lavoro scientifico l’ho impostato-condotto-scritto e conosco bene la pignoleria con cui i “revisori” dei vari giornali scientifici guardano l’impostazione e l’esecuzione di una ricerca  (casi trattati e non; obiettivi principali e secondari dello studio; i dati ottenuti, le loro statistiche; le conclusioni).

Sulla correttezza dell’impostazione di una ricerca e sulle statistiche conseguenti, non si scherza, in medicina. Ma “Quelli”della task-force di Conte, hanno preso fischi per fiaschi.

         I FATTI

         Prima del COVID-19 i posti letto in terapia intensiva (T.I.) erano, in tutta Italia, 5.179. Ossia pari a 8,6 per 100.000 abitanti, un valore ben inferiore alla media nella U.E. Ma si trattava solo di un valore teorico, perché – in molte Regioni- i posti realmente attivi erano valutabili attorno ad un indice 7/100.000.

L’ondata epidemica ha così costretto le Regioni ad aumentarne frettolosamente il numero, con risultati drammatici in alcune e accettabili/buoni in altre. Si è così  arrivati ad un numero nazionale di posti letto in T.I. di 8.490(+ 3.311 !), ossia a un valore di 15,5per i soliti 100.000 abitanti.

È evidente che questi  letti di T.I., in questo periodo, non servivano solo per i malati COVID più gravi ma dovevano essere utilizzati anche per i malati “già  esistenti” in rianimazione perché affetti da altre gravi patologie acute, perché con un decorso post-operatorio impegnativo, perché pazienti cronici gravemente riacutizzati, quindi bisognosi di cure estreme.

In piena pandemia, cosa si è fatto? Si sono frettolosamente allestiti nuovi posti intensivi e si è bloccata l’attività clinica ordinaria(“fatte salve le urgenze”) trasformando le T.I in “rianimazioni dedicate quasi totalmente ai pazienti COVID”. Il sistema ha, bene o male, tenuto.

Molto meglio nel Triveneto che in Lombardia, dove si è assistito a scene clinicamente tragiche. Meglio al Centro-Sud che al Centro-Nord.

Ma non vogliamo fare classifiche di demerito o di merito e non è ancora il momento per valutazioni diverse da quelle cliniche.

Da fine marzo, il decorso della pandemia sta cambiando.

La stessa Protezione Civile(bollettino, riportato dal Corriere Sera, del 30 Aprile, pag.10; articolo di F. Caccia e M. De Bac) certifica che, dall’inizio di Aprile, le T.I. hanno cominciato a svuotarsi, con i posti COVID in progressiva riduzione, a favore dei pazienti con altre patologie, gravi. Mentre si stanno lentamente normalizzando le altre attività  ospedaliere ordinarie, di natura medica, chirurgica, strumentale.

Il 29 Aprile, in Italia,  su 8.490 posti attivati di T.I., ben 1.795 risultavano liberi.

In Lombardia, da un massimo di 1.800 posti occupati in T.I. si è passati a circa 1000 (per tutte le patologie, non solo per i Covid!).

In Emilia Romagna, su 478 posti disponibili, 202 sono liberi.

Liberi pure molti letti nelle rianimazioni di Liguria, Basilicata, Marche, F.V.G.

         ASPETTI VENETI

         E, in Veneto? In Veneto, nelle rianimazioni,  si è passati da 485 posti letto (base) ad un massimo di 825 posti letto(inizio virosi). Nelle T.I.,  il numero massimo di posti letto di occupati per COVID si è avuto  tra il 30 e il 31 marzo (356 posti), quando i ricoverati COVID in ospedale hanno raggiunto il top (2.084).

         Ossia il 17,08% dei ricoverati era finito in T.I.

Da allora i numeri di entrambi i parametri (ricoveri ospedalieri COVID e letti COVID in T.I.) sono stati costantemente in discesa, fino ai dati ufficiali del 2 maggio: in T.I. 108 posti COVID e 237 posti non-COVID;  in ospedale, 1.087 pazienti COVID (inclusi quelli trattati in rianimazione), con altri 7.000 ospedalizzati non-COVID.

In definitiva, anche i numeri veneti dicono che, al massimo della tempesta pandemica, in T.I è stato usato – per gli infettati – il 43,15% della dotazione “massima” e il 73,4% di quella “minima”.

In questi ultimi giorni, sempre in T.I., i pazienti non-COVID hanno superato quelli COVID: 237 a 108, con un totale regionale di 345 posti intensivi occupati.

In sintesi: 345/485= 71,13% e 345/825= 41,81%.

Numeri e “storie cliniche personali” frutto della “programmazione strategica regionale” e del “sacrificio dei sanitari” durante (durante!?) la pandemia.

         MORALE della STORIA

Se questi sono i dati, accumulati da marzo ad oggi, come può permettersi la TASK-FORCE nazionale (!, nomen omen…) di pronosticare situazioni catastrofiche per i prossimi mesi, financo in caso di recidiva devastante?

         Come è possibile ipotizzare che la recidiva di una virosi– che si sta attenuando- possa avere effetti più drammatici di quelli iniziali, quando il nostro SSN è stato preso alla sprovvista o quasi, per l’incapacità delle organizzazioni sanitarie nazionali di affrontare con consapevolezza e in modo strutturato questa “strana virosi” in arrivo dalla CINA?

Come è possibile (lo chiediamo anche a Conte e a Speranza) dare credito ad un ALGORITMO FANTASIOSO, senza tener conto del senso di responsabilità mostrato in questi mesi dagli italiani, con i loro comportamenti “adeguati” alla virosi e alle indicazioni nazionali e regionali?

Siamo in Italia. Ci saranno dei processi. E  “Qualcuno”, un giorno, nelle aule di un tribunale ci dirà se, a Palazzo Chigi e dintorni, ci siano stati comportamente colposi come tempistica e come scelte e se non sia stato creato un paniconella gente, ben superiore a quello indotto – di per se’- dalla presenza di una virosi.

È evidente che doveva-debba-dovrà essere garantita la sicurezza sanitaria dei cittadini, partendo dalla conferma e dal rispetto delle regole sanitarie basilari. “Non va abbassata la guardia”, dice  Zaia, che continua “..occorre passare dai suggerimenti clinici ai comportamenti del popolo, responsabilizzandolo e garantendone l’autonomia, per favorire la tutela propria e degli altri…”( Protezione Civile, Marghera, ore 13.15 del 2 maggio).

         LE ESPERIENZE ALTRUI

Un recentissimo studio inglese, effettuato su ben 16.747 inglesi infettati, dimostra che i pazienti COVID ospedalizzati muoiono nel 33% dei casi e guariscono nel 49% dei casi.

          E gli altri?Gli altri finiscono in T.I. con prognosi drammatica (morte o agonia) nel 50% del totale. Brutalmente, ulteriori decessi.

Quindi, rianimazione, significa dramma, soprattutto in presenza di comorbidità: obesità, patologie cardiovascolari (29%), diabete mellito (19%), pneumopatia cronica non asmatica (19%) o asmatica (14%).

Altri lavori recenti confermano che le espressioni cliniche della malattia possono essere variegate. Infatti  il quadro clinico può essere RESPIRATORIO(tosse, espettorazione-sputo, dolori alla gola, gocciolio nasale, dispnea e dolore toracico, alterazioni gusto-olfatto), SISTEMICO(febbre, mialgie, artralgie, stanchezza) o GASTRO-INTESTINALE(dolore addominale, vomito, diarrea).

Quindi,molto più variabiledi quanto asserito inizialmente dai cinesi (disturbi respiratori), configurando invece spesso un quadro di coagulazione intravascolare, associato ai danni diffusi da interleuchina 6. Per non parlare della comparsa improvvisa di diabete in soggetti prima non diabetici, della comparsa di iperglicemie difficilmente trattabili in vecchi diabetici e, infine, di patologie neurologiche diverse per intensità e durata.

         CONCLUSIONI  (di un vecchio Primario…)

         In medicina, la PRASSI VINCE SPESSO SULLA TEORIA. Ed è per questo elemento che i “medici senior” hanno molto da insegnare ai neolaureati e agli specializzandi. L’esperienza è una grande maestra, da Esculapio in poi.

Con il passare dei mesi, le informazioni “sul campo”aggiungono e aggiungeranno importanti mattonelle alla costruzione di uno schema terapeutico efficace: le linee guida – certificate e asseverate da casistiche consistenti- da seguire in questa virosi, oggi e nel futuro prossimo. Come elementi base per affrontare le ulteriori epidemie-pandemie, che ci saranno, ancora.

Fondamentale si conferma la scelta di tenere a domicilio(e trattare precocemente) i pazienti con sintomatologia più leggera. Nei casi più impegnativi, invece, il ricovero ospedalierodovrebbe essere prevalentemente indirizzato verso i reparti di malattie infettive o di terapia sub-intensiva (pneumologica e non) usando tutto l’armamentario terapeutico finora dimostratosi utile, in attesa del vaccino o di un cocktailfarmacologico  “codificato”.

Usando cioè quello che è stato usato, empiricamente, finora: idrossiclorochina, azitromicina, remsdesivir, lopinavir/ritonavir, cortisonici, tocilizumab, eparina  a basso peso molecolare, plasma dei guariti, plasmaferesi o tecniche di adsorbimento della IL-6 etc. Ultima risorsa, la T.I. e l’intubazione…

Empiricamente, perché ci sono poche linee guida (es. quelle americane IDSA,Aprile 2020, fonte Medscape) che non aiutano la prassi perché raccomandano l’uso dei farmaci sopracitati solo “nel contesto di un trial clinico” (sic!), come se i 40.000 italiani ospedalizzati non dovessero invece essere trattati con ogni mezzo disponibile, con esperienza e con intuito.

In ogni caso,  la terapia va personalizzataossia adeguata al singolo caso clinico, per cercare di guarire il paziente, evitandogli danni aggiuntivi.

Ai politici il compito di tener conto di quanto successo. Non è polemica pensare, dire e scrivere quanto segue:

  1. Non si possono tagliare i fondi per il SSN, come fatto nell’ultimo decennio (dati Non si possono tagliare i fondi per il SSN, come fatto nell’ultimo decennio (dati ISTAT , CNEL etc.)
  2. Non si possono tagliare posti letto ospedalieri, arrivando a percentuali di dotazione inferiori alla media U.E.;
  3. Non si possono avere posti letto di T.I. insufficientia coprire le frequentissime emergenze e le gravi complicanze dei “vecchietti-vecchioni”;
  4. Non si può  non avere una rete provinciale di U.O.C (unità operative complesse) di Malattie infettive, in presenza di una crescente mobilità della popolazione mondiale;
  5. Non si può  non avere una RETE dedicata alle EMERGENZE SANITARIE(Protezione sanitaria), specifica e con una breve linea di comando (nazionale, regionale, provinciale);
  6. Non si può non ridefinire la struttura dell’ASSISTENZA MEDICO-SANITARIA sul TERRITORIO, per evitare accessi impropri all’ospedale, luogo di cura secondaria ma fonte di specifiche infezioni.

NON SI PUÒ. Questo lo dico IO, ma non sono solo.

Questo lo dico IO, ma è compito della politica dare una risposta completa, che metta in sicurezza la salute dei cittadini, oggi, domani e dopodomani.

Non servono DPCM e circolari, serve un NUOVO PIANO SANITARIO NAZIONALE, 42 anni dopo quello della senatrice-ministro Anselmi. Un nuovo piano, con nuove articolazioni, standard del personale, adeguatezza di strutture e macchinari, semplificazione delle regole per il personale e per gli acquisti, per la costruzione-manutenzione degli stabili. Un piano che chiarisca in modo definitivo  rapporti gestionali tra stato e regioni e che garantisca un finanziamento adeguato al SSN.

Altrimenti, ricascheremo a breve nel caos dei scorsi mesi, con la morte di tanti italiani, inclusi coloro che sono stati in prima linea. Qualcuno mi ascolterà?

Stefano Biasioli
Primario Nefrologo in pensione
Sindacalista medico, in pensione
Consigliere Cnel

“Ma non, per questo, vecchio da buttare”