Pensioni, la vergogna dell’Inps sugli assegni: a chi hanno regalato i soldi

Articolo tratto da “LiberoQuotidiano.it”  il 29.04.2018

di Sandro Iacometti

Il reddito di cittadinanza c’è già. Va in gran parte al Sud. E a pagarlo sono i pensionati. È questo il messaggio inviato ieri da Tito Boeri ai partiti usciti vincitori dalle urne, che tra i nodi da sciogliere hanno anche quello di conciliare le promesse elettorali sui sussidi di povertà con la difficile situazione dei conti pubblici. Perché, ha suggerito il presidente dell’ Inps presentando il primo bilancio del Reddito di inclusione (Rei), starsi ad arrovellare su dove trovare le risorse per interventi costosissimi quando una soluzione a basso costo è già pronta per l’ uso? L’ idea di Boeri, che con una mano continua a chiedere austerità per gli assegni previdenziali e con l’ altra continua ad elargire valanghe di bonus a chi non ha mai versato un contributo, è che il Rei sia qualcosa di molto vicino alla versione base del reddito minimo o di dignità proposto in forme diverse sia dai grillini sia dal centrodestra. «È un primo passo, ancora sottofinanziato, ma c’ è», ha detto. Conti alla mano, l’ economista della Bocconi voluto da Renzi alla guida dell’ Inps ha spiegato che il costo del reddito di cittadinanza proposto dal M5S è «di 35-38 miliardi», mentre con il Rei «si potrebbe fare tantissimo già con 5-7 miliardi, raggiungendo tutte le persone in povertà assoluta».

Leggi anche: L’Inps taglia le pensioni e regala la vacanza ai dipendenti

GUERRA DI CIFRE

Tralasciando la guerra di cifre subito scatenata dai grillini, che in base a dati certificati dall’ Istat stimano in 15-17 miliardi il costo della misura, e l’ anomalia di un funzionario pubblico che continua a proporre iniziative legislative senza mai dover rendere conto agli elettori, resta da capire per quale motivo il sostegno alla povertà debba essere fatto con risorse pescate dal bilancio di un ente che dovrebbe pensare più di ogni altra cosa a pagare le pensioni. E che invece sembra voler fare di tutto tranne che restituire ai lavoratori i contributi versati durante la propria vita professionale.

Certo, dal punto di vista sostanziale è lo Stato a pagare (con ingenti e incessanti trasferimenti di denaro) e non l’ Inps.

Ma se la distinzione contabile è chiara e trasparente, non si capisce perché, come ha più volte detto l’ ex sottosegretario Alberto Brambilla, tutti continuano a lanciare allarmi sulla sostenibilità del sistema pensionistico, quando è solo la spesa assistenziale a crescere ogni anno (siamo arrivati a 108 miliardi) mentre la gestione previdenziale è in perfetto equilibrio.

POMPA MAGNA

Il problema non ha mai sfiorato il governo uscente, che ieri ha celebrato in pompa magna la pioggia di quattrini distribuita ai poveri. «Non buttare a mare il lavoro fatto, perché il Paese non può permettersi una fiera delle velleità», ha detto il premier Paolo Gentiloni. «Credo che il reddito di inclusione sia qualcosa di importante che deve durare nel tempo», ha aggiunto il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.

Entrando nel dettaglio, i nuclei che sono stati beneficiati da misure di contrasto alla povertà, sia dal vecchio Sostegno per l’ inclusione attiva che dal nuovo Rei entrato in vigore dal primo gennaio, sono 251.000 famiglie per 870.000 componenti. Al momento, ha spiegato Boeri, è stato raggiunto quasi il 50% della platea potenziale (era 1,8 milioni di persone al primo step) ma a luglio la misura diverrà universale (vengono meno i requisiti familiari e restano solo quelli economici) e si punta a una platea di quasi 700mila famiglie e 2,5 milioni di persone interessate. Il sussidio (rispetto ai 780 euro mensili per persona singola e 1.638 euro a una coppia con due figli minori previsti dalla proposta grillina), raggiunge al massimo 187 euro per una famiglia composta da una sola persona e 485 euro in caso di almeno cinque componenti. L’ importo medio mensile è stato di 297 euro. Inutile dire dove siano andati gli assegni.

Sette nuclei beneficiari su 10 vivono nel Mezzogiorno. Campania, Calabria e Sicilia in testa. Nel dettaglio, per il Rei sono residenti al Sud 79.723 famiglie su 110.138 complessive (il 72,4%) con un importo medio di 309 euro contro i 256 del Nord. Per il Sia la percentuale di nuclei residenti al Sud è del 69,6% (83.004 su 119.226).

http://www.liberoquotidiano.it/news/economia/13323549/pensioni-tito-boeri-soldi-pensionati-per-sussidio-poverta-meridionali.html

Avviso ai (nuovi) governanti:

Avviso ai (nuovi) governanti: più che le pensioni saranno i conti pubblici a far fibrillare i mercati

05.04.2018 – Giuseppe Pennisi – http://formiche.net/2018/04/pensioni-mercati-governo-conti-pubblici/

Secondo l’economista Giuseppe Pennisi piuttosto che della previdenza occorre preoccuparsi di altri aspetti, più immediati, dei conti pubblici

Con l’inizio della legislatura, che questa volta coincide con l’avvio del ciclo di programmazione economica e finanziaria e di bilancio, si torna a parlare di pensioni in essere e future come area su cui focalizzare per trovare risorse. Dal 1992 ad oggi sono state fatte circa 22 riforme del sistema previdenziale; nessun Paese può reggere ad una tale frequenza di riforme (ciascuna con il nome del ministro che dice di averla concepita) perché ne consegue incertezza che ha un effetto negativo sui comportamenti di tutti gli agenti economici e, quindi, sulla produttività.

Ci può essere qualche settore specifico, come “i vitalizi” dei parlamentari, ma anche in questo caso occorre muoversi con cautela per non prendere misure retroattive che potrebbero essere contrarie alla Costituzione. Ci sono indubbiamente provvedimenti, come la cosiddetta “Legge Fornero”, che richiedono un affinamento in quanto varata frettolosamente ha comportato risultati discutibili, e tali da non essere in vigore in nessun Paese Ocse. Molti problemi potrebbero essere risolti separando nettamente assistenza da previdenza, come fa il Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali : ci si accorgerebbe che la spesa previdenziale in senso stretto è sotto al 14% del Pil, quindi inferiore alla media dell’Unione Europea, mentre la spesa sociale è una vasta area che richiede razionalizzazione e riordino da cui potrebbe sorgere economie.

Tuttavia, i nostri titoli di stato sono classificati BBB (rispetto allo AAA di quelli tedeschi e allo AA di quelli francesi) e sono molto soggetti agli umori dei mercati. Piuttosto che della previdenza occorre preoccuparsi di altri aspetti, più immediati, dei conti pubblici. Sono di queste ore le notizie degli avvertimenti di Eurostat in materia di contabilizzazione degli interventi per tenere a galla le banche venete; da soli portano il deficit 2017 sopra il 2% del Pll e lo stock di debito (sempre 2017) al 132% del Pil e dimostrano che la scorsa legislatura non è stata all’insegna del miglioramento ma del peggioramento dei conti pubblici.

Azzardato fare ipotesi per l’esercizio 2008 in corso. Un paio di settimane fa, la Commissione europea ha avvertito che per restare nell’ambito degli obiettivi concordati con Bruxelles , occorre fare subito una manovra di 5 miliardi di euro poiché più tempo passa nell’anno finanziario più cresce il disavanzo. A questa manovra, si dovrebbe aggiungere, per sterilizzare gli aumenti dell’Iva, delle clausole di salvaguardia, nonché prendere misure precauzionali in materia di servizio del debito, dato che è in atto un rialzo dei tassi d’interesse. Il Sole 24 Ore, un quotidiano che non è stato all’opposizione dei Governo Renzi e Gentiloni, ha calcolato in ben 30 miliardi l’aggiustamento da fare nel triennio 2018-2020, un’ipoteca pesante per chiunque assuma responsabilità di governo.

Cosa suggerire? Un rigorosa spending review secondo le procedure in atto negli Stati Uniti dalla prima Amministrazione Reagan e da allora solo ritoccate e aggiornate, e un piano straordinario per la riduzione del debito. Chi andrà a Palazzo Chigi e a Via Venti Settembre, infatti, non potrà chiedere il beneficio d’inventario.

 

Reddito di cittadinanza, scontro tra INPS e Grillini

Boeri alza la sua stima a 35-38 miliardi di euro, “una cifra molto consistente”. I 5S: “È falso, basta raccontare bugie”. L’Istituto di previdenza avvisa: “Chi si batte per queste misure rinunci alla tentazione di mettere la bandierina” 

Pubblicato il 29/03/2018 – Paolo Baroni su LA STAMPA 

«Il Reddito di cittadinanza ? Abbiamo rifatto i calcoli tenendo come riferimento il disegno di legge presentato dai 5 Stelle nel 2015 e il costo è ancora più alto dei 30 miliardi stimati a suo tempo – avvisa Tito Boeri -. Incrociando i nostri dati con quelli dell’Agenzia delle entrate si arriva a 35-38 miliardi di euro. Una cifra molto consistente».

Guerra di numeri 

«È falso, basta raccontare bugie» ribattono in presa diretta i capigruppo grillini aprendo un nuovo fronte polemico, l’ennesimo, col presidente dell’Inps. Per Grillo e Toninelli, infatti, «l’Istat ha calcolato 14,9 miliardi la spesa annua, più due di investimento il primo anno per riformare i centri per l’impiego».

Quindici miliardi contro 35-38: la differenza non è da poco. Molti economisti nei mesi scorsi, da Roberto Perotti a Francesco Daveri, avevano già fornito stime molto vicine a quelle di Boeri. Mentre i 5 Stelle si aggrappano alle stime dell’Istituto di statistica fonti dell’Inps spiegano tanta distanza col fatto che i 15 miliardi del progetto dei 5 Stelle incorporerebbero sia i cosiddetti affitti imputati (ovvero il valore virtuale dell’affitto di chi ha una casa di sua proprietà) sia una diversa valutazione dei redditi dei lavoratori autonomi. Nel primo caso gli affitti imputati andrebbero compresi sia nel calcolo del reddito che per stimare la soglia di povertà, visto che le condizioni delle famiglie bisognose con e senza casa di proprietà cambiano significativamente. Ma visto che il disegno di legge dei 5 Stelle non ne fa menzione esplicita l’Inps li ha sottratti, facendo venire meno una cifra che Baldini e Daveri sulla voce.info avevano valutato in circa 15 miliardi di euro. Altri 10 miliardi sarebbe invece il peso della differente valutazione dei redditi autonomi: quelli dichiarati al Fisco sono infatti significativamente più bassi delle dichiarazioni spontanee raccolte dall’Istat e quindi il differenziale da coprire attraverso il Reddito di cittadinanza sarebbe significativamente più alto. Però avvertono dall’Inps «non si tratta né di errori di stima né di bugie, quanto invece di tenere in considerazione in maniera corretta tutti i fattori». Ai 5 Stelle però l’uscita di Boeri non è andata giù e ieri a più riprese hanno sparato ad alzo zero contro l’economista bocconiano.

Boeri, presentando i primi dati sul Reddito di inclusione assieme a Gentiloni e al ministro del Lavoro Poletti, si è poi augurato «che chi si batte per queste misure rinunci alla tentazione di mettere le proprie bandierine o peggio di interrompere il percorso in atto, ma si impegni per trovare maggiori risorse». E quindi ha bocciato anche la proposta leghista di un Reddito di avviamento al lavoro (Ral). «Sarebbe un passo indietro, perché riguarderebbe solo i disoccupati, mentre il Rei da luglio diventa una misura universale, a beneficio di tutti». «Non dobbiamo buttare al mare il lavoro fatto dal nostro esecutivo, visto che funziona. Non possiamo permetterci una fiera delle velleità che ci porterebbe fuori strada» ha dichiarato a sua volta il presidente del Consiglio. «Si tratta di strumenti complessi e difficili da costruire – ha spiegato invece Poletti -. Sarebbe un peccato se si interrompessero e si smontassero». «Occorre andare avanti su questa strada» ha poi convenuto il portavoce dell’Alleanza contro la povertà Roberto Rossini, ricordando che per rendere davvero efficace il Rei basterebbe stanziare 5 miliardi. Stima su cui concorda anche Boeri: «Di miliardi ne bastano 5-7 miliardi non 38 e si farebbero già grandi cose».

Il Rei funziona 

I numeri illustrati ieri, del resto, confermano che il Rei funziona bene. Nel primo trimestre di quest’anno le persone che hanno beneficiato delle misure di contrasto alla povertà sono state poco meno di 900 mila, sommando a quelle che già ricevano il Sostegno di inclusione attiva i 316 mila ammessi al Rei. In pratica è già stato raggiunto il 50% della platea potenziale, con una maggiore incidenza al Sud (7 nuclei beneficiari su 10) e dove c’è più disoccupazione ed assegni molto più generosi: 297 euro in media a famiglia dai 245 della vecchia Sia.

Arriva il diktat della Bce: “Aumentate ancora l’età della pensione”

Antonio Signorini – 26.03.18 – 8:44

L’istituto di Francoforte pretende le riforme: un messaggio indiretto al prossimo governo.

Sembra ritagliato su misura per l’Italia l’ultimo richiamo della Banca centrale europea sulle pensioni.

Nel bollettino economico, l’istituto centrale di Francoforte chiede che i governi dell’area Euro non facciano passi indietro sulle riforme e si appella perché si intraprendano ulteriori interventi per innalzare, l’età evitando di frenare l’attuazione delle riforme già approvate.

Secondo la Bce l’invecchiamento demografico comporta «pressioni al rialzo sulla spesa pubblica per pensioni, assistenza sanitaria e cure a lungo termine. Ciò renderà problematico per i paesi dell’area ridurre il consistente onere del loro debito e assicurare la sostenibilità dei conti pubblici nel lungo periodo».

Nell’anticipo del bollettino di qualche giorno fa, la Bce aveva corredato l’analisi sulla previdenza con le stime sulla crescita della percentuale di over 65 rispetto alla popolazione lavorativa. Da poco più del 30% nel 2016 a oltre il 52% nel 2070. In Italia, dove questa percentuale è già ora fra le più alte in Europa insieme a Germania, Grecia, Portogallo e Finlandia, nel 2070 sarà a oltre il 60%, una condizione che il paese condividerà con Grecia e Cipro mentre il Portogallo deterrà il primato negativo con il 67%.

La Bce ricorda che «hanno adottato riforme pensionistiche a seguito della crisi del debito sovrano». Peccato che ora «la rapidità di attuazione di tali riforme sia recentemente diminuita».

Il riferimento nemmeno troppo velato è all’Italia, anche se gli economisti di Francoforte specificano come non sia possibile «trarre conclusioni relative ai piani di riforma dei singoli paesi».

Il fatto è che, dopo la riforma Fornero, c’è già stato un intervento per attenuare gli effetti della riforma (l’Ape social, volontaria e Rita). Poi, nei palazzi delle istituzioni internazionali sono forti i timori che il nuovo esecutivo italiano, espresso da una maggioranza che ha tra i pochi punti in comune proprio quello di intervenire sulla previdenza, allenti ulteriormente i requisiti per la pensione.

La direzione da prendere è opposta: «l’implementazione di ulteriori riforme in questa area si rivela essenziale e non deve essere differita, anche in vista di considerazioni di economia politica».

Un richiamo molto simile a quello recente del Fondo monetario internazionale. Ma la Bce aggiunge un ulteriore tassello, specificando che l’unico modo per rendere sostenibile il sistema previdenziale è proprio quello di agire sui requisiti, quindi sull’età pensionabile.

«L’aumento dell’età di pensionamento» può «ridimensionare gli effetti macroeconomici negativi dell’invecchiamento». Abbassare l’importo delle pensioni, invece, può «contrastare in misura molto limitata tali effetti macroeconomici». Da respingere l’aumento di contributi che pagano datori e lavoratori, che rischia di esacerbare gli effetti negativi sui conti pubblici dell’invecchiamento della pensione.

Tra le righe, insomma, gli economisti della Bce bocciano interventi che puntino su una maggiore flessibilità in uscita in cambio di un calcolo meno favorevole dell’assegno previdenziale. Quindi anche l’Ape nelle varie versioni varato dai governi Renzi e Gentiloni. No all’aumento dei contributi, che poi è quello che propongono senza troppo clamore i sindacati.

Sì, invece, ad aumenti dell’età del ritiro. I richiami delle istituzioni internazionali riguardano spesso l’Italia, ma solo per ragioni di tenuta dei conti pubblici (nemmeno quelli strettamente previdenziali che sono in equilibrio). La nostra età del ritiro, per i pensionati del futurio, è già tra le più alte d’Europa.

Da: www.ilgiornale.it , 26 marzo 2018 

Pensioni alla prova del nuovo Parlamento. Ecco cosa potrebbe cambiare

Questi i temi  in materia previdenziale  che  saranno riproposti nella imminente XVIII Legislatura, che si aprirà dal 23 marzo con la elezione dei rispettivi  Presidenti della Camera dei Deputati  e del  Senato della Repubblica.

Da sito web www.pensionioggi.it  – scritto da Valerio Damiani, 22.03.2018

Tra i primi passi della prossima legislatura quasi certamente ci sarà la stabilizzazione dell’Ape sociale per le categorie deboli oltre il 2018. 

Il tema delle pensioni continuerà ad essere al centro dell’agenda del prossimo Parlamento. Non c’è alcun dubbio. Il problema è comprendere che tipo di intervento si potrà realizzare. Se cioè si proseguirà nel solco già tracciato con la legislatura uscente con una serie di strumenti che solo in parte hanno temperato le rigidità della Legge Fornero (generando però un’ampia disparità tra lavoratori) o se ci sarà la possibilità di un intervento di più ampio respiro, una controriforma come annunciata in campagna elettorale da M5S e Lega. 

Questa seconda ipotesi in realtà non ha molte probabilità di vedere la luce a meno che i Pentastellati e la Lega riescano a formare una maggioranza assieme. Difficile che tale disegno possa riuscire. Così come pure l’ipotesi di tornare nuovamente alle urne. E’ molto più verosimile che nella formazione del nuovo governo M5S da un lato e Lega dall’altro convergano, a seconda di come si formerà la maggioranza, verso le posizioni più moderate ed accettino di proseguire il cammino di revisione “temperata” della Riforma del 2011, trovando quel minimo comune denominatore con le forze del PD che dovranno, in qualche modo, appoggiare o un Governo a motrice Centrodestra o Cinquestelle. Se si accetta questa premessa è ragionevole ipotizzare che si continuerà ad operare nel solco tracciato con i sindacati nel verbale del settembre 2016, rimasto ancora in parte non realizzato. 

I temi della prossima legislatura 

La nuova legislatura potrebbe così precedere alla stabilizzazione dell’Ape sociale oltre il 2018 magari con un ampliamento ulteriore delle categorie beneficiarie (si parla soprattutto degli autonomi disoccupati, i grandi esclusi dall’attuale perimetro di tutela) e dell’anticipo pensionistico volontario oltre il 2019; la revisione dei lavori gravosi e dei lavori usuranti (categorie più volte oggetto di un intervento da parte del legislatore in questi ultimi due anni). M5S e Lega potrebbero anche spingere per l’approvazione di una nona salvaguardia pensionistica con riferimento alle ultime migliaia di lavoratori rimasti esclusi dai precedenti provvedimenti (briciole rispetto alle risorse avanzate e poi distratte per altri fini); ad una proroga dell’opzione donna oltre il 2015, altro tema più volte discusso in campagna elettorale assieme a quello di estendere il pensionamento con 41 anni di contributi. 

Quest’ultima ipotesi è molto costosa anche se potrebbe essere declinata in due modi a seconda se venisse riconosciuta solo a coloro che possono vantare almeno 12 mesi di lavoro effettivo prima del 19° anno di età (quindi solo per i lavoratori precoci ma senza i tanti vincoli aggiuntivi previsti oggi) oppure a prescindere da tale ultimo requisito. Su questo punto si sono registrate alcune convergenze con la sinistra dem durante la campagna elettorale. In cambio Lega e M5S dovrebbero accantonare la reintroduzione della pensione di anzianita’ (cioè la quota 100) ed il blocco generalizzato degli adeguamenti alla speranza di vita. 

Una maggioranza potrebbe raggiungersi anche sull’introduzione dei bonus contributivi per i lavori di cura, sulla pensione di garanzia per i giovani, sulla rivalutazione dei trattamenti pensionistici, sulla separazione tra assistenza e previdenza temi indicati chiaramente nel verbale del settembre 2016 e rimasti ancora inattuati. C’è poi la questione dei vitalizi degli ex parlamentari, che sicuramente sarà rilanciata con vigore dal M5S. Come si era già anticipato su PensioniOggi lo scorso anno la strada del DDL Richetti non era costituzionalmente praticabile; meglio sarebbe un provvedimento degli Uffici di Presidenza di Camera e Senato. 

In ogni caso la riforma dei vitalizi è più simbolica che di sostanza. Il nuovo governo farebbe meglio a vigilare con forza sul rispetto delle leggi già approvate nell’ultimo anno e in parte disattese. C’è la questione del cumulo del contributi con le Casse Professionali, ancora in stallo; l’irrisolta questione dell’Enasarco; il ritardo da parte dei fondi di previdenza complementare nell’adeguarsi alla Rita, la rendita integrativa temporanea anticipata; gli enormi ritardi nell’evasione delle domande di ape sociale e precoci da parte dell’Inps nonchè dell’Ape volontario. Temi che interessano centinaia di migliaia di persone e che, per essere risolti, non serve trovare una maggioranza.

Commento di “Leonida” alle 2 notizie precedenti

Chi pensava che il risultato del 4 marzo potesse modificare il trend di aggressione alle pensioni si sbagliava clamorosamente.

I fatti dicono che:

  1. il bilancio INPS 2018 sarà clamorosamente in ROSSO per colpa delle straripanti spese assistenziali.
  2. L’Europa continua ad attaccare la spesa pensionistica globale dell’Italia, dicendo che deve calare rispetto al PIL e continuando a non tenere conto della sostanza di cui al punto 1.
  3. Draghi bacchetta Salvini e Di Maio che vorrebbero modificare pesantemente la Fornero ma, abbastanza esplicitamente, “consiglierà” al nuovo governo di tagliare la spesa pensionistica (si vedano i punti 1 e 2).
  4. Di Maio e i 5 Stelle vorrebbero regalare denari assistenziali a chi non ha mai lavorato.
  5. Berlusconi & C. vorrebbero integrare le pensioni sociali fino a una cifra non meglio precisata.
  6. La cattiva Europa chiederà all’Italia di sistemare il problema del mancato adeguamento dell’IVA (19 mld per il 2018 e 12 mld per il 2019).
  7. Le trasmissioni televisive, anche dopo il 4 marzo, continuano ad ospitare  “personaggi” che chiedono il taglio delle pensioni “ricche” ma che lasciano intonsi i vitalizi dei parlamentari.

Ecco perché dobbiamo continuare a difendere le nostre pensioni!

Vi attendiamo in tanti a Padova la mattina del 7 aprile prossimo (Hotel Four Points by Sheraton – uscita Padova Est). Raccoglieremo adesioni per le nuove iniziative legali.

Pensioni, la battaglia dei 65 euro: scontro sul costo delle pratiche

 Dall’inizio del 2017 c’è il cumulo gratuito, la possibilità di sommare i contributi versati a enti diversi per lasciare il lavoro prima. Ma è tutto fermo perché Inps e casse dei previdenziali litigano sulle spese. Pronto un esposto per omissione d’atti d’ufficio 

di Lorenzo Salvia su www.corrieredellasera.it 

Ci sono 10 mila persone che non riescono ad andare in pensione per colpa di 65 euro. Un piccolo contributo per la gestione della pratica sul quale stanno litigando l’Inps e le casse previdenziali private, quelle che pagano la pensione a 2 milioni di professionisti, dagli avvocati agli architetti. Nelle ultime ore la lite si è trasformata in guerra di posizione. E c’è il rischio che il tutto finisca in tribunale. Perché le vittime di questa storia hanno già pronto un esposto da presentare alla Procura di Roma, sostenendo che le due trincee scavate sul fronte configurino il reato di omissione o ritardo degli atti d’ufficio. 

La storia riguarda il cumulo gratuito, cioè la possibilità di sommare i contributi versati a enti diversi, l’Inps e le casse previdenziali private, per avvicinare il momento della pensione. Una misura pensata per le carriere «spezzate», quelle di chi ha lavorato come avvocato, ad esempio, ma anche come dipendente e quindi si è costruito due pensioni diverse. Il cumulo è sempre stato possibile ma finora era a pagamento. E il conto era così salato, in alcuni casi i contributi già versati andavano pagati di nuovo, da rendere di fatto la strada impraticabile. 

Dall’inizio del 2017 il cumulo è gratuito. Nel primo anno erano previste 10 mila domande anche se finora, visto lo stallo, ne sono arrivate meno di un migliaio. Il guaio è che quella possibilità è rimasta sulla carta, perché l’Inps e le casse dei professionisti non si sono messe d’accordo sulle procedure concrete da adottare. Fino al caso di queste ore. Il cumulo è gratuito ma la pratica ha comunque un costo, 65 euro di oneri di gestione. 

Secondo l’Inps, la somma va messa in conto «agli enti coinvolti nella liquidazione in misura proporzionale alle rispettive quote di pensione erogate». Un po’ per uno. Secondo l’Adepp, l’Associazione fra le casse dei professionisti, invece i 65 euro dovrebbero essere a carico dell’Inps perché lo «Stato ha riconosciuto proprio all’Inps un maggior finanziamento che, a regime, raggiungerà l’importo di 89 milioni di euro all’anno». L’Inps ribatte che quel finanziamento non serve a gestire le pratiche ma a coprire i «maggiori oneri di spesa previdenziale», cioè le pensioni in più da pagare. Le casse rispondono dicendo no a quella che chiamano «tassa Boeri». E via così in un crescendo di accuse incrociate che ha fatto perdere di vista il motivo del contendere, allontanando la soluzione. 

Per questo il comitato creato da alcuni professionisti interessati al cumulo ha preparato un esposto alla Procura di Roma in cui si parla di omissione o ritardo negli atti d’ufficio. Se non ci saranno novità, lo depositeranno domani. 

In campagna elettorale si è parlato tanto di modifiche alla legge Fornero, ogni partito ha lanciato la sua proposta anche in modo creativo. Per mandare in pensione quelle 10 mila persone non serve una riforma. Bastano 65 euro. E un po’ di buon senso.

Pensioni, Draghi contro Salvini: la legge Fornero non si tocca

E oltre alla Bce anche il Fmi ha già alzato il cartellino rosso contro una revisione dell’attuale normativa 

di Filippo Caleri da: il Tempo, 21.03.18

La Banca Centrale Europea ha deciso: la Fornero non si tocca. O meglio se si tocca saranno dolori (finanziari) nel lungo termine. A Matteo Salvini, che sulla sua rottamazione ha costruito una parte del successo elettorale, saranno fischiate le orecchie. E la sfida che, in un ipotetico governo con la Lega dentro, si trova davanti è molto difficile. Considerato che anche altri organismi internazionali come il Fondo Monetario Internazionale hanno già alzato il cartellino rosso contro una revisione dell’attuale legge pensionistica.

In un recente studio tre economisti del Fmi Michal Andrle, Shafik Hebous, Alvar Kangur e Mehdi Raissi intitolato “Italy: Toward a Growth-Friendly Fiscal Reform” hanno spiegato che al momento la nostra spesa pensionistica, nonostante la criticata e dura riforma Fornero, con il 16% del Pil è la seconda più alta, superata solo dalla Grecia. Una considerazione che di fatto stoppa le velleità rottamatrici di Salvini. Al Fmi si è aggiunto anche Draghi ha fatto subito presente il suo pensiero sulla materia: “Molti paesi hanno già applicato delle riforme dei sistemi pensionistici dopo la crisi del debito sovrano, sebbene il passo delle riforme abbia fatto registrare un rallentamento di recente. Ulteriori riforme in questo settore sono essenziali e non devono essere ritardate, anche alla luce di considerazioni di politica economica”.

Questo l’estratto del bollettino economico della Banca Centrale Europea che sarà pubblicato domani mattina. Citando le statistiche Eurostat, la Bce ha ricordato che gli over 65enni rispetto al totale di chi lavora è prevista in crescita da poco più del 30% nel 2016 a oltre il 52% nel 2070. In Italia, dove questa percentuale è già ora fra le più alte in Europa, gli over 65enni nel 2070 saranno oltre il 60%, un livello che il mostro Paese condividerà con Grecia e Cipro mentre il Portogallo deterrà il primato negativo con il 67%. L’invecchiamento della popolazione avrà importanti implicazioni macro-economiche e fiscali per l’eurozona. In particolare l’invecchiamento della popolazione porterà a un declino nella disponibilità della forza lavoro ed “è probabile che avrà un effetto negativo sulla produttività mentre le implicazioni in termini di risparmi e di investimenti varieranno nel tempo, a seconda di come avverrà l’ingresso fra le file dei pensionati delle varie classi di età, a partire dalla generazione del baby-boom”.

Insomma per chi pensava che con un semplice tratto di penna si potesse cancellare una delle leggi più odiate dagli italiani dovrà attendere le soluzioni, a questo punto da inventare di sana pianta visto che le risorse non sembrano esserci, del prossimo esecutivo. Certo è che lo scontro di punti di vista riporta all’eterno conflitto tra la supremazia dell’economia (e dunque del rispetto dell’equilibrio economico) e quella della politica. Il destino dei pensionandi è appeso a chi vincerà il duello. Inutile scervellarsi per capire da quale parte stanno oggi gli italiani.

Parla Draghi, ancora sulle pensioni!

Ma il voto degli italiani non conta nulla !!! Rivedere l’Europa ed i suoi trattati ormai è condizione INELUDIBILE…

Martedì 20 marzo 2018: da: http://www.affaritaliani.it 

Secondo la Bce, ” il passo delle riforme dei sistemi pensionistici ha registrato un rallentamento di recente. Ulteriori riforma non devono essere ritardate”.

Un doppio altolà sulle pensioni a M5S e Lega. Dopo che ieri il Fondo Monetario Internazionale ha fatto sapere che in Italia nonostante le varie riforme varate a partire dagli anni ’90, legge Fornero compresa, la spesa pensionistica italiana resta elevata (“nel 2045 raggiungerà il 20,3% del Pil”, stima più alta del 16% previsto dal Tesoro), anche la Banca Centrale Europea manda un messaggio in forma indiretta alle forze elettorali premiate dalla tornata elettorale del 4 marzo che puntano alla cancellazione-superamento della riforma Fornero. 

“Molti Paesi hanno già implementato riforme dei sistemi pensionistici dopo la crisi del debito sovrano sebbene il passo delle riforme abbia fatto registrare un rallentamento di recente. Ulteriori riforme in questa area sono essenziali e non devono essere ritardate, anche alla luce di considerazioni di politica economica“, scrive il bollettino della Bce che sarà diffuso in forma integrale giovedì mattina.

Citando statistiche Eurostat, la Bce ricorda come la percentuale di persone di età superiore ai 65 anni rispetto al totale delle persone in età da lavoro (cioè dai 15 ai 64 anni) è attesa crescere da poco più del 30% nel 2016 a oltre il 52% nel 2070. 

In Italia, dove questa percentuale è già ora fra le più alte in Europa insieme a Germania, Grecia, Portogallo e Finlandia, nel 2070 sarà a oltre il 60%, una condizione che il Paese condividerà con Grecia e Cipro mentre il Portogallo deterrà il primato negativo con il 67% (l’Irlanda d’altro canto avrà l’incidenza più bassa). L’invecchiamento della popolazione avrà importanti implicazioni macro-economiche e fiscali per l’eurozona.

“In particolare l’invecchiamento porterà a un declino nella disponibilità di forza lavoro ed è probabile che avrà un effetto negativo sulla produttività mentre le implicazioni in termini di risparmi e investimenti varieranno nel tempo, a seconda di come avverrà l’ingresso fra le file dei pensionati delle varie classi di età, a partire dalla baby-boom generation“.

L’invecchiamento della popolazione, osserva poi la Bce, avrà conseguenze anche sull’andamento dei prezzi delle diverse categorie di prodotto.

E’ probabile che caleranno gli acquisti di beni di consumo mentre aumenterà la domanda di servizi sanitari che nella maggior parte dei paesi hanno una tassazione inferiore rispetto alle altre categorie per cui la raccolta di Iva sarà inferiore e questo renderà più difficile per i paesi ridurre il loro debito pubblico e assicurare la sostenibilità nel lungo periodo.

Riguardo alle misure specifiche delle riforme pensionistiche, gli esperti Bce osservano come mentre alzare l’età pensionistica contribuire a ridurre gli effetti macro-economici negativi dell’invecchiamento della popolazione, al contrario ridurre i benefit potrebbe anzi ottenere l’effetto opposto. I lavoratori già in pensione con ogni probabilità reagirebbero ai tagli alle pensioni con minori spese per i consumi mentre le persone ancora attive nella forza lavoro potrebbero a loro volta ridurre le spese a aumentare i risparmi proprio tenendo in conto il più basso livello di pensioni che li attende alla fine della loro vita lavorativa. La Bce osserva inoltre come il costo politico delle riforme pensionistiche tenda ad aumentare con il passare del tempo. “Con il progressivo invecchiamento dell’elettore mediano – conclude il documento – il costo politico da sopportare per adottare riforme pensionistiche è destinato ad aumentare”. Insomma, anche se l’Eurotower non accenna ai programmi delle forze politiche vincitrici delle elezioni, il messaggio che si può trarre è esplicito: sarebbe bene non mettere mano alla legge Fornero (come propongono Lega e M5S) che, anzi, già non basta a rendere pienamente sostenibile il sistema.

“Ridurre le pensioni, la Fornero non basta”

Il Fmi pubblica un report di economisti che chiedono tagli per gli assegni retributivi e misti.

Gian Maria De Francesco – Mar, 20/03/2018 – 11:31 su il: http://www.ilgiornale.it

Altro che abolizione della riforma Fornero. Il sistema previdenziale italiano necessita di ulteriori miglioramenti per garantirgli una sostenibilità di lungo termine.

È quanto sostiene il Fondo monetario internazionale in un working paper (un’analisi che contiene proposte di lavoro) intitolato «Italia: verso una riforma fiscale improntata alla crescita». Come si evince dal titolo, l’oggetto della disamina è costituito dalle politiche di sviluppo, ma per gli economisti di Washington (il team che si occupa dell’Italia è guidato dall’ex commissario alla spending review Cottarelli) nessuna misura espansiva è possibile senza una riduzione della spesa per le pensioni. Tutto questo perché l’Fmi ritiene tutto sommato giusto lo «scongelamento» dopo 9 anni di blocco delle retribuzioni dei dipendenti pubblici con i nuovi contratti, mentre considera sbagliato un ulteriore taglio agli investimenti in conto capitale e al sistema del welfare.

Ecco perché la ricetta del Fondo prevede nell’ordine: eliminazione totale della quattordicesima (per i redditi bassi) e parziale della tredicesima per i pensionati col sistema retributivo e con il sistema misto retributivo-contributivo, fissazione di un limite di età per i coniugi e di forti restrizioni per gli eredi per le pensioni di reversibilità, ricalcolo su base contributiva delle pensioni retributive e aggiornamento rapido dei coefficienti di trasformazione e delle rivalutazioni. Allo stesso modo, si propone di rivedere il sistema dei contributi previdenziali avvicinando le aliquote (ora al 33% per i dipendenti e al 24% per gli autonomi).

I rimedi in ambito fiscale, invece, sono già noti al grande pubblico sia perché già evidenziati dall’Ocse e dalla Commissione Ue, sia perché il programma di +Europa di Emma Bonino in campagna elettorale li aveva fatti propri. Si tratta di: istituzione di una property tax sugli immobili (cioè più Imu per tutti), ampliamento della lotta all’evasione Iva «sguinzagliando» l’Agenzia delle Entrate, aumento delle imposte su dividendi e capital gain (anche esteri) e taglio dei bonus fiscali. In particolare, sostituendo le detrazioni per lavoro dipendente (soprattutto quella delle donne lavoratrici) con un credito d’imposta. Solo in questo modo, secondo l’Fmi, è possibile abbassare Irpef, Ires e Irap.

Il dato di partenza dell’analisi è già stato vagliato dall’Ocse e dalla nostra Ragioneria generale dello Stato. La spesa pensionistica in Italia è la più alta in Europa dopo quella della Grecia e si attesta al 16% del Pil. Le riforme che si sono succedute dalla legge Dini del 1995 alla Fornero del 2011 hanno progressivamente abbassato i costi, ma nel 2025 è atteso il picco di spesa. Le stime italiane sono considerate ottimistiche perché si fondano su un incremento del tasso di occupazione dal 56 al 66,5% nel 2070 e su una crescita media annua del Pil pro capite dell’1,75 per cento. Considerata la scarsa produttività del lavoro, concludono gli esperti, non si pongono molte altre alternative in caso di choc.

La pubblicazione di questo report durante le trattative per la formazione di un governo a guida «populista» (M5S o Lega) dichiaratamente anti-Fornero rappresenta un severo monito. L’Fmi, assieme a Commissione Ue e Bce, è infatti uno dei componenti della troika. Se ne deduce che il commissariamento dell’Italia è più di un’ipotesi di scuola.