Contro le fake news sulle pensioni d’oro. Il parere di Biasioli e Stevanato

Articolo di Lorenzo Stevanato e Stefano Biasioli – Pubblicato su: http://formiche.net/2018/06/pensioni-fake-news/

Tutti i numeri reali sull’assistenza e la previdenza che ridimensionano il dato sul risparmio di un miliardo stimato dal M5S

Nel contratto tra M5S e Lega si accenna ai tagli sui vitalizi e sulle pensioni d’oro. Obiettivo: dare un sussidio alle pensioni “minime”.

Onestamente noi pensavamo che, prima di passare dalle enunciazioni ai fatti, Di Maio e C. si documentassero sui “numeri reali” relativi all’assistenza ed alla previdenza. Le affermazioni di questi giorni ci dimostrano, invece, che i 5S non si sono documentati e non hanno assolutamente letto il Rapporto Brambilla n°4/2017 che, in modo analitico e stringente, testimonia alcuni fatti incontrovertibili:

a) il bilancio (entrate-uscite) della “previdenza pura” (ossia coperta da contributi) relativo al 2015 è in attivo (+3,713 miliardi);

b) il bilancio della “spesa assistenziale” (ossia quella non coperta da contributi individuali) è nettamente in passivo ed è quantificabile in 72,172 miliardi.

In altri termini il 58,89% della spesa per il welfare è legato all’assistenza, funzione che andrebbe coperta con le tasse e non con contributi obbligati a carico dei soliti noti: i pensionati con redditi superiori a 3 volte il minimo Inps.

L’ATTACCO ALLE PENSIONI D’ORO

Il leitmotiv del ministro del lavoro, nonché vicepremier e leader dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio continua ad essere il taglio delle pensioni d’oro.

Sembra che l’attuazione di tale misura costituisca la sostanza delle politiche economiche del Governo, e in particolare l’elargizione del “reddito di cittadinanza” e l’aumento delle pensioni minime. Con la sforbiciata delle pensioni “sopra soglia 4000-5000/mese” si ricaverebbe (secondo un recente annuncio postato sul blog del movimento 5S) un risparmio di spesa pubblica pari ad un miliardo di euro. Già questo dato, se fosse vero (ma non lo è) ci fa capire la scarsa utilità del taglio.

Per avere un termine di paragone sull’ordine di grandezza e di utilità della misura, basti pensare che l’influenza dell’aumento dello spread BTP BUND, relativamente al rinnovo dello stock di titoli del debito pubblico italiano in scadenza, nel caso di un aumento di 100 punti base (è ciò che sta avvenendo adesso) vale 1,8 miliardi nel primo anno, 4,5 nel secondo e 6,6 nel terzo (fonte: ufficio parlamentare di bilancio, nota n. 3/ottobre 2017, “Il modello UPB di analisi e previsione della spesa per interessi”).

In altri termini, lo sbandierato (ma irrealistico) risparmio di un miliardo sta già per essere, più che interamente, assorbito dall’aumento dello spread, a seguito delle note rivelazioni di stampa sull’improvvida prima bozza del contratto di governo. Il dato sul risparmio di un miliardo, però, come già detto non è realistico.

Invero, più meditate e realistiche previsioni di risparmio di spesa (fonte Soc. Tabula, fondata dall’ex dirigente dell’INPS ed ex consulente di palazzo Chigi, Stefano Patriarca) indicano in circa 200 milioni il risparmio realizzabile, tenendo conto:

a) che i pensionati sopra soglia 5000 sono soltanto, circa, 30mila;

b) che essi ricevono complessivamente 4 miliardi;

c) che la differenza tra pensioni calcolate con sistema retributivo e contributivo consisterebbe, per loro, mediamente in un 5 per cento.

Cosicché il risparmio si ridurrebbe a circa 200mila euro.

Da questa cifra si dovrà poi sottrarre il minore introito fiscale sui ridotti assegni pensionistici.

Da notare che, in campagna elettorale, lo stesso Di Maio aveva stimato un risparmio di ben 12 miliardi!

Da notare anche che nel “contratto di governo” le “pensioni d’oro” da tagliare erano quelle superiori a 5mila euro netti, mentre nel recente blog e nelle ultime dichiarazioni Di Maio parla di “4000-5000” euro netti.

Dunque, la soglia è scesa a 4mila euro netti. Evidentemente si sono resi conto che la soglia 5mila non dà affatto il risparmio di spesa sbandierato.

Dunque soglia 4000, per il momento, e poiché nemmeno questa sarà sufficiente a recuperare le risorse occorrenti ai grandiosi progetti del M5S, si scenderà ancora, magari non subito, ma in seguito, a 3000 e poi a 2000, coinvolgendo milioni di pensionati.

In disparte l’enormità della misura, in violazione dei più elementari principi di uno Stato di diritto (tutela dell’affidamento, incisione retroattiva su diritti quesiti e su rapporti giuridici esauriti, disparità di trattamento tra categorie omogenee, prelievo fiscale mascherato a carico solo di alcuni cittadini, ingiustizia manifesta perché le pensioni sono, per definizione, giustificate dai contributi versati nella misura stabilita dalla legge) essa non resiste a più meditate analisi sulla sua praticabilità e sulla sua utilità.

Pur se non è stato ancora detto quale sarà il criterio del taglio, è facile immaginare che si vorrà convertire le pensioni “sopra soglia” al sistema contributivo introdotto dalla legge 335 del 1995 (cd. Riforma Dini”) e confermato dalla cd. “Legge Fornero”.

Sulla praticabilità, però, basti dire che il ricalcolo contributivo necessita di conoscere un dato, il montante contributivo complessivo delle “vite lavorative” di ciascun pensionato “retributivo”. Senonché, il montante contributivo chi lo conosce?

Si tratta di un dato ignoto all’amministrazione della previdenza, poiché non serve ai fini del calcolo delle pensioni retributive.

Tanto è vero che il d. lgs. 180/1997 ha introdotto un metodo di calcolo forfettario, ai fini dell’esercizio dell’opzione volontaria di scelta del metodo contributivo, introdotta dall’art. 1, comma 23, della legge 335/1995.

Non serve, infatti, conoscere il montante contributivo per il calcolo della quota A (ultima retribuzione moltiplicata per coefficienti di rendimento crescenti, in rapportati all’anzianità contributiva, fino al 1992), né per il calcolo della quota B (media di 10 annualità di retribuzione, moltiplicata per coefficienti di rendimento, dal 1993 al 2011).

Esso è noto e serve soltanto per il calcolo della quota C, cioè per il periodo dal 2012 in poi, per il quale la pensione è “costruita” con il metodo contributivo. Peraltro, si è osservato che per carriere lunghe e continue la conversione al sistema contributivo potrebbe addirittura dar luogo ad assegni pensionistici più elevati! Il risparmio di spesa sarà dunque incerto e scarso.

Per converso, si alimenterà un contenzioso di grandi numeri e dall’esito scontato.

IN CONCLUSIONE

Questa volta la Consulta non potrà non tener conto del fatto che, dal 2008 ad oggi, i pensionati ( e solo loro!) sono stati tartassati con contributi forzosi di solidarietà e con la pluriennale mancata rivalutazione sulle pensioni in essere.

Per non parlare del problema “tasse”. Di Maio e C. sanno o non sanno che l’85% di Irpef/Ires/Isos è pagata dai lavoratori dipendenti (99 miliardi), dai pensionati (58,58 miliardi) e dai lavoratori autonomi (9,63 miliardi)?

Sanno che ben 30 milioni di cittadini (su 60,7 milioni) dichiarano di essere senza reddito e, quindi, sono a carico di qualcun altro? Sono, questi, numeri da “Paese europeo” o c’è dell’altro?

LA TELENOVELA delle PENSIONI D’ORO

Articolo di Lorenzo Stevanato – Magistrato amministrativo in pensione –    Pubblicato su Startmag.it http://www.startmag.it/economia/vi-racconto-la-telenovela-sulle-pensioni-doro/

l leitmotiv del Ministro del lavoro, nonché vicepremier e leader dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio continua ad essere il taglio delle pensioni d’oro.

Sembra che l’attuazione di tale misura costituisca la sostanza delle politiche economiche del Governo, e in particolare l’elargizione del “reddito di cittadinanza” e l’aumento delle pensioni minime.

Con la sforbiciata delle pensioni “sopra soglia 4000-5000/mese” si ricaverebbe (secondo un recente annuncio postato sul blog del movimento 5S) un risparmio di spesa pubblica pari ad un miliardo di euro.

Già questo dato, se fosse vero (ma non lo è) ci fa capire la scarsa utilità del taglio.

Per avere un termine di paragone sull’ordine di grandezza e di utilità della misura, basti pensare che l’influenza dell’aumento dello spread BTP BUND, relativamente al rinnovo dello stock di titoli del debito pubblico italiano in scadenza, nel caso di un aumento di 100 punti base (è ciò che sta avvenendo adesso) vale 1,8 miliardi nel primo anno, 4,5 nel secondo e 6,6 nel terzo (fonte: ufficio parlamentare di bilancio, nota n. 3/ottobre 2017, “Il modello UPB di analisi e previsione della spesa per interessi”).

In altri termini, lo sbandierato (ma irrealistico) risparmio di un miliardo sta già per essere, più che interamente, assorbito dall’aumento dello spread, a seguito delle note rivelazioni di stampa sull’improvvida prima bozza del contratto di Governo.  

Il dato sul risparmio di un miliardo, però, come già detto non è realistico.

Invero, più meditate e realistiche previsioni di risparmio di spesa (fonte Soc. Tabula, fondata dall’ex dirigente dell’INPS ed ex consulente di palazzo Chigi, Stefano Patriarca) indicano in circa 200 milioni il risparmio realizzabile, tenendo conto:

  1. a) – che i pensionati sopra soglia 5000 sono soltanto, circa, 30000;
  2. b) – che essi ricevono complessivamente 4 miliardi;
  3. c) – che la differenza tra pensioni calcolate con sistema retributivo e contributivo consisterebbe, per loro, mediamente in un 5 per cento.

Cosicché il risparmio si ridurrebbe a circa 200.000 euro.

Da questa cifra si dovrà poi sottrarre il minore introito fiscale sui ridotti assegni pensionistici.

NOTARE che, in campagna elettorale, lo stesso Di Maio aveva stimato un risparmio di ben 12 miliardi!

NOTARE che nel ″contratto di Governo” le ″pensioni d’oro” da tagliare erano quelle superiori a 5 mila euro netti, mentre nel recente blog e nelle ultime dichiarazioni Di Maio parla di ″4000-5000” euro netti.

Dunque, la soglia è scesa a 4000 euro netti.

Evidentemente si sono resi conto che la soglia 5000 non dà affatto il risparmio di spesa sbandierato.

Dunque soglia 4000, per il momento, e poiché nemmeno questa sarà sufficiente a recuperare le risorse occorrenti ai grandiosi progetti del M5S, si scenderà ancora, magari non subito, ma in seguito, a 3000 e poi a 2000, coinvolgendo milioni di pensionati.

In disparte l’enormità della misura, in violazione dei più elementari principi di uno Stato di diritto (tutela dell’affidamento, incisione retroattiva su diritti quesiti e su rapporti giuridici esauriti, disparità di trattamento tra categorie omogenee, prelievo fiscale mascherato a carico solo di alcuni cittadini, ingiustizia manifesta perché le pensioni sono, per definizione, giustificate dai contributi versati nella misura stabilita dalla legge) essa non resiste a più meditate analisi sulla sua praticabilità e sulla sua utilità.

Pur se non è stato ancora detto quale sarà il criterio del taglio, è facile immaginare che si vorrà convertire le pensioni “sopra soglia” al sistema contributivo introdotto dalla legge 335 del 1995 (cd. Riforma Dini”) e confermato dalla cd. “Legge Fornero”.

Sulla praticabilità, però, basti dire che il ricalcolo contributivo necessita di conoscere un dato, il montante contributivo complessivo delle “vite lavorative” di ciascun pensionato “retributivo”.

Sennonché, il montante contributivo chi lo conosce?

Si tratta di un dato ignoto all’amministrazione della previdenza, poiché non serve ai fini del calcolo delle pensioni retributive.

Tanto è vero che il d. lgs. 180/1997 ha introdotto un metodo di calcolo forfettario, ai fini dell’esercizio dell’opzione volontaria di scelta del metodo contributivo, introdotta dall’art. 1, comma 23, della legge 335/1995.

Non serve, infatti, conoscere il montante contributivo per il calcolo della quota A (ultima retribuzione moltiplicata per coefficienti di rendimento crescenti, in rapportati all’anzianità contributiva, fino al 1992), né per il calcolo della quota B (media di 10 annualità di retribuzione, moltiplicata per coefficienti di rendimento, dal 1993 al 2011).

Esso è noto e serve soltanto per il calcolo della quota C, cioè per il periodo dal 2012 in poi, per il quale la pensione è ″costruita” con il metodo contributivo.

Peraltro, si è osservato che per carriere lunghe e continue la conversione al sistema contributivo potrebbe addirittura dar luogo ad assegni pensionistici più elevati!

Il risparmio di spesa sarà dunque incerto e scarso.

Per converso, si alimenterà un contenzioso di grandi numeri e dall’esito scontato.

Pensioni, sale la base di calcolo dell’assegno per il 2018

Compeltato il quadro che permette di calcolare gli assegni pensionistici dell’anno in corso. I nuovi coefficienti per le rivalutazioni 

 Luca Romano – Gio, 21/06/2018 – 10:31 Completato il quadro che permette di calcolare gli assegni pensionistici dell’anno in corso.

 Dopo l’annuncio del nuovo tassi per i montanti contributivi, l’istituto di previdenza sociale con una circolare ha comunicato i coefficienti di rivalutazione delle retribuzioni, il parametro che di fatto permette il calcolo dell’assegno. Su questo fronte va fatta una precisazione. Il sistema retributivo per il calcolo della pensione è stato archiviato nel 2012. Viene però ancora utilizzato per tutti gli assegni che riguardano tutti i lavoratori che possedevano l’anzianità contributiva alla data del 31 dicembre 1995. In questo caso il calcolo dell’assegno avviene su due binari. Il primo riguarda, come riporta pensionioggi.it, gli anni di contribuzione e la media delle retribuzioni lorid degli ultimi anni. Da qui l’assegno che corrisponde al 50 per cento della media degli utlimi stipendi con 25 anni di contributi, al 70 per cento con 35 anni di ncontributi e all’80 per cento con 40 anni di contributi. Poi c’è la rendita che è costituita da quota a e quota b. La quota a corrisponde all’importo relativo ai contributi maturati fino a dicembre 1992. La seconda, la quota b invece è quella che tiene in considerazione il periodo che va dal 1993 al 2011. Per i lavoratori dipendenti la quota A viene considerata con la media degli stipendi degli ultimi 5 anni, la quota b invece sulla retribuzione media degli ultimi 10 anni. Le cifre che poi materialmente vengono erogate con gli assegni della pensione non corrispondono agli importi incassati in busta paga ma vengono rivalutati con il tasso di inflazione. E così, come sottolinea Italia Oggi, uno stipendio del 2016 di 35mila euro, in pensione vale 35.385 euro. Se si considera poi il calcolo della seconda quota si arriva fino a 36.739 euro. Insomma adesso con i coefficienti comunicati dall’Inps salirà la base di calcolo e sarà molto più semplice individuare l’importo degli assegni con decorrenza 2018 con la rivalutazione delle retribuzioni. 

Ricorsi alla Cedu 

Infine, sempre sul fronte rivalutazioni, dopo lo stop della Consulta al ricalcolo degli assegni bloccati dal governo Monti, si apre un’altra pista per chi vuole chiedere gli arretrati sull’assegno previdenziale: il ricorso alla Cedu. “La giurisprudenza più recente – spiega Celeste Collovati, legale di Aspes (rivalutazionepensione@gmail.com) – della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ammette l’esperibilità dei ricorsi anche in assenza del previo esaurimento dei rimedi girisdizionali interni quando si è in presenza di una normativa nazionale vigente che osta al riconoscimento vantato, ovverosia anche chi non ha mai fatto un ricorso nazionale può far valere il suo diritto avanti alla Corte Europea inserendosi nel ricorso collettivo”. I primi rocrsi sono già partiti e ora i pensionati attendono il verdetto della Corte. 

Aggiornamento 21.06.18: Riforma pensioni / Quota 100, il ministro Salvini: “Entro l’anno smontiamo la Fornero”

Questa mattina su Rai3 nel corso della  trasmissione Agorà , Matteo SALVINI ribadisce l’intenzione di  “smontare la legge Fornero …” , come indicato nell’articolo pubblicato su www.ilsussidiario.net  , insieme ad altri contributi su materia previdenziale.

Riforma Pensioni 2018, ultime notizie sul Governo e Quota 100: Di Maio, “finanziarla con taglio vitalizi e pensioni d’oro”. Usb attacca Inps e l’esecutivo: tutte le novità 

21 giugno 2018 – agg. 21 giugno 2018, 10.39 Niccolò Magnani www.ilsussidiario.net 

La modifica della Legge Fornero in tema di pensioni, è sempre stata uno dei “cavalli di battaglia” del nuovo governo formato dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle. Obiettivo, stravolgere completamente la legge, introducendo la famosa quota 100, ovvero, andare in pensione a 64 anni se si hanno almeno 36 anni di contributi (64 + 36 fa 100). Una volontà ribadita anche nelle scorse ore dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che in occasione di un’intervista rilasciata al programma di Rai Tre, Agorà, in cui ha parlato anche dei migranti e della scorta di Saviano, ha ammesso: «La riforma della Legge Fornero? Entro l’anno. Ci sono dei ministri che non hanno ancora gli uffici e quindi aspettiamo che i ministri abbiano gli uffici e poi entro l’anno si comincia a smontare la legge Fornero ripartendo da quota 100». Entro la fine del 2018 è quindi molto probabile che venga introdotta una nuova legge sulle pensioni, fra le questioni più pregnanti del nuovo esecutivo. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)

 QUOTA 100 PER TUTTI MA CON MENO SOLDI? 

Come segnala il quotidiano “Avanti” il progetto per riformare le pensioni del Governo gialloverde potrebbe avere, oltre ai problemi di coperture e inserimento della misura in una Finanziaria già “pesante” per gli altri provvedimenti promessi dal Contratto (Flat tax, Reddito cittadinanza ma non solo), anche una decisa problematica per le cifre dell’assegno pensionistico stesso. La logica del Governo è infatti una Quota 100 per tutti, e non solo per commercialisti, avvocati e medici come lo è già nella legislazione di oggi: chi per va in pensione adesso e percepisce 1.289 euro di pensione, «con la quota 100 prenderebbe 1.089 euro. Inoltre, quota 100 non sarebbe conveniente per i giovani che hanno carriere discontinue», sottolinea il quotidiano socialista. Non solo, secondo gli ultimi studi del Sole 24 ore chi ha avuto carriere discontinue e attualmente ha avuto interruzioni al lavoro superiori ai 2 anni o per malattia o per cassa integrazione, con la Quota 100 rischierebbero di posticipare la pensione di almeno altri 3 anni. Insomma, la riforma Lega-M5s della legge Fornero per anticipare la pensione degli italiani potrebbe avere degli effetti collaterali non propriamente da “lasciare in secondo piano”.. 

RIFORMA PENSIONI, DI MAIO: “DA VITALIZI E PENSIONI D’ORO, FONDO PER LE MINIME” 

Nell’intervista rilasciata a Porta a Porta il Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico ha spiegato a Bruno Vespa come intende finanziare un possibile supplemento di pensioni “minime”: il progetto lo ha presentato già ieri mattina al presidente dell’Inps Tito Boeri e sarò oggetto di discussione al prossimo Consiglio dei Ministri. «Pronto un provvedimento per creare un fondo in cui far confluire i tagli ai vitalizi e alle pensioni d’oro da destinare ai pensionati minimi. Vediamo quanti soldi recuperiamo, ma è un problema di giustizia sociale», ha spiegato Di Maio illustrando come da questo fondo sarebbe possibile coprire il necessario fabbisogno degli assegni minimi per i tanti pensionati italiani. Sul tema delle “priorità” del Governo in merito ai tanti provvedimenti lanciati nel Contratto, Di Maio ha anche spiegato che reddito di cittadinanza e flat tax, ove possibile, saranno inseriti al più presto nell’agenda politica forse già a partire dalla prossima Finanziaria. «Acceleriamo e spero di poterlo portare in legge di bilancio a fine anno», ha rilanciato il ministro riguardo la misura per la povertà messa in atto dal programma M5s. 

USB CONTRO GOVERNO E INPS 

Con una lunga nota pubblicata dalla sezione Toscana dell’Unione Sindacale di Base, i sindacati autonomi rivendicano un’azione forte e “pubblica” del nuovo Governo dopo che tutti i precedenti – secondo l’Usb – avrebbero fallito nel tentare di sistemare il nodo pensioni in Italia. «L’Unione Sindacale di Base rilancia la battaglia per la difesa delle pensioni e la previdenza pubblica, dopo anni di scellerati attacchi e di tentativi di smantellare l’INPS. Con la scusa del pareggio di bilancio in costituzione i Governi negano la possibilità di aumento della spesa sociale, questo significa che come già avvenuto nel recente passato, che ci saranno pesanti tagli alla sanità, alle pensioni, così come sarà quasi impossibile procedere alla revisione della Legge Fornero», scrive la nota pubblicata ieri in tutti circoli toscani. L’attacco è diretto all’Inps e anche all’attuale governo che dai primi provvedimenti ipotizzati non sembra convincere appieno neanche la sezione Usb dei sindacati autonomi. «L’INPS è sottoposta da tempo ad un processo di ristrutturazione che prevede esternalizzazione delle prestazioni, riduzione della possibilità di accesso da parte di lavoratori e pensionati, riduzione progressiva e sistematica degli operatori con scadimento voluto delle prestazioni ancora garantite non si sa per quanto. Si vuole spingere l’opinione pubblica verso la condivisione di una privatizzazione completa della previdenza pubblica di cui l’INPS è garante e simbolo», conclude l’invettiva l’Unione Sindacale di Base. 

 

DI MAIO VUOLE TAGLIARE LE NOSTRE PENSIONI !

CI RISIAMO ! DI MAIO VUOLE TAGLIARE le NOSTRE PENSIONI !

Il ” Fatto Quotidiano ” di oggi riporta a pag.6 (Articolo di Carlo Di Foggia) un fatterello “piccolo piccolo”. Di Maio, ieri, ha ANNUNCIATO una MISURA ECONOMICA: la creazione di un fondo per alzare le pensioni minime, alimentato dal TAGLIO di QUELLE D’ORO e dei VITALIZI, con il RICALCOLO CONTRIBUTIVO.

” Ne ho parlato con Tito Boeri…spero di portare questo piano al primo Consiglio dei Ministri utile”.

Questa affermazione di Di Maio dimostra alcune cose, note da tempo:

a) che i 5S non hanno un proprio “esperto pensionistico”, se debbono ricorrere alle idee di Tito Boeri, Presidente INPS in cerca di ricollocazione….;

b) che le IDEE PAZZE di BOERI e PATRIARCA (Primavera del 2015) non sono morte ma vengono sponsorizzate dall’attuale ministro del lavoro.

Per gli smemorati, ricordiamo che “l’ipotesi Boeri-Patriarca” prevedeva il RICALCOLO FORFETTARIO della FASE RETRIBUTIVA, colpendo le pensioni da 2000 euro in su, con il taglio variabile (dal 20 al 50%) del delta tra l’attuale montante pensionistico ed il nuovo montante, ricalcolato come sopra. 

Il tutto, per arrivare ad un taglio di circa 4,2 miliardi complessivi, cifra che farebbe gola a Di Maio, per alzare le pensioni minime….!;

c) che DI MAIO NON CAPISCE NULLA di PENSIONI e di CONTABILITA’ INPS;

d) che DI MAIO non ha mai letto le relazioni di Alberto Brambilla sui bilanci INPS; 

e) che DI MAIO NON HA MAI LETTO la RELAZIONE SANGALETTI sui TAGLI PENSIONISTICI 2012-2019 (30,44 miliardi tolti ai pensionati INPS !!!);

f) che DI MAIO NON HA MAI LETTO la RECENTE (Gennaio 2018) ANALISI DETTAGLIATA del BILANCIO INPS, analisi che testimonia la parità del BILANCIO PREVIDENZIALE INPS e il netto deficit del BILANCIO ASSISTENZIALE INPS;

g) che DI MAIO VUOLE PERDERE le PROSSIME ELEZIONI (politiche ed europee) perché perderà il voto di 1.873.262 pensionati, da Lui ulteriormente massacrati (dopo i tagli di Monti, Letta, Renzi, Gentiloni), in modo becero ed anticostituzionale.

Vuole la guerra? L’avrà…Noi dell’APS Leonida e del Forum pensionati non ce ne staremo zitti e buoni.

RIFORMA PENSIONI 2018, Salvini, “priorità superare Legge Fornero con la Quota 100” (ultime notizie)

Riforma Pensioni 2018: le regole per la Quota 100 e tutte le ultime notizie. – Il “caso-Quota 37” e i lavoratori gravosi con benefici di uscita dal lavoro aon Ape Sociale.

18 Giugno 2018 – agg. 18 giugno 2018 – 20:22 Niccolò Magnani

SALVINI, “PRIORITÀ SUPERARE LEGGE FORNERO CON LA QUOTA 100”

Nel giorno in cui il Ministro degli Interni ha rilanciato, con polemica scoppiata immediata, sul tema immigrazione e “censimento rom” non sono mancate le indicazioni di priorità per Salvini sul fronte pensioni: non è il Ministro del Lavoro ma da vicepremier (e leader della Lega) prova a puntellare il programma di priorità per il governo dei prossimi mesi. In una intervista a TeleLombardia, il segretario del Carroccio ha spiegato come assieme al Ministro Bonafede (Giustizia, ndr) «faremo di tutto per rendere concreti entro quest’anno le novità sulla legittima difesa, per eliminare gli sconti di pena per reati gravi come stupro e omicidio e per un intervento fiscale, a partire dalle partite Iva. La flat tax per i cittadini probabilmente partirà dall’anno fiscale successivo». Ma la vera priorità economica viene spiegata da Salvini sul lato previdenziale: «bisogna iniziare fin da subito a smontare la legge Fornero con la Quota 100, già entro il 2018». Le polemiche delle opposizioni sugli altri fronti faranno passare in secondo piano le affermazioni sulle pensioni ma sotto il profilo politico è assai importante notare come Salvini tenga ancora – come del resto anche Di Maio su altri temi – le briglie salde all’intera maggioranza, anche se direttamente non dovrebbe competergli. (agg. di Niccolò Magnani).

SONDAGGIO: 44% VUOLE QUOTA 100

In un sondaggio pubblicato da Swg per Confesercenti il 44% degli intervistati ha dichiarato di preferire la misura del governo Conte per superare la Legge Fornero che regola di fatto il sistema pensioni in Italia. Rilanciare il piano previdenziale dei prossimi decenni è una priorità non solo del Governo, di qualsiasi colore esso sia, ma dell’intero popolo italiano che teme di non arrivare ad un assegno previdenziale nei prossimi 20-30 anni. Quasi un italiano su due dunque vorrebbe il superamento della riforma messa in atto nel 2011 dall’ex ministro del Welfare del Governo Monti: «la revisione della riforma sulle pensioni rappresenta il punto più apprezzato dai lavoratori italiani, tra quelli indicati dal Governo Lega-Movimento 5 Stelle», recita il sondaggio condotto da Confesercenti. Di Maio ora dovrà cercare di “triangolare” con il ministro Tria e il Premier Conte per trovare una soluzione rapida, tempestiva ma che possa trovare coperture e fondi “solidi” e non si debba poi rimettere di nuovo tutto in discussione nella Finanziaria successiva.

CONFSAL-UNSA CHIEDE QUOTA 100

Secondo Massimo Battaglia, segretario generale della Federazione Confsal-Unsa (Unione Nazionale dei Sindacati Autonomi) la Quota 100 proposta dal Governo sul fronte pensioni non solo è la strada giusta ma è quella da prendere nel più breve tempo possibile. Il motivo è semplice, ovvero tutte le possibili conseguenze in termini economici e sociali che potrebbero portare la legge Fornero ancora a pessimi “ricavi” per i pensionati italiani. «Dal 1 gennaio 2019 le pensioni saranno penalizzate dell’1,5% in meno», annuncia l’Unsa, da sempre molto critica con i governi Monti prima, Letta-Renzi-Gentiloni poi. «È uno scandalo che rischia di passare sotto traccia», sottolinea ancora Battaglia mostrando il calcolo del coefficienti di trasformazione delle pensioni, effetto poco noto della legge Fornero. Di fatto, se nulla verrà variato nella legislazione corrente e vigente, i coefficienti vengono applicati al montante contributivo, ovvero a quanto versato durante la vita lavorativa, con le perdite mostrate qui sopra da Unsa. «Un lavoratore che andrà in pensione a 65 anni nel 2019 prenderà una pensione inferiore di oltre l’1% rispetto a chi ha avuto la fortuna di ritirarsi un anno prima, mentre 70enne che andrà in pensione il prossimo anno perderà quasi il 2% sul suo assegno: dai 2.943 euro del 2018 ai 2.887 del 2019», spiega Today, riportando l’invito di Unsa e Confsal al Governo Lega-M5s di “fare presto” per non perdere altro tempo utile a cambiare le norme vigenti.

QUATTORDICESIMA, CHI RIMANE ESCLUSO?

Tutti gli importi della Quattordicesima, in arrivo a luglio per diverse categorie di lavoratori italiani, aumentano di fatto per tutti coloro che hanno un reddito non superiore a 1,5 volte il trattamento minimo annuo del Fondo Pensioni. Nel dettaglio, si sta parlando di circa 9.894,69 euro: prendendo poi come riferimento le diverse precedenti fasce di anzianità contributiva per lavoratori autonomi e dipendenti, i vari importi dell’assegno pensionistico di luglio aumentano tra i 437, 546 e 655 euro. Ebbene, nei forum specifici del settore previdenziale da giorni ormai rimbalza la domanda su chi sia escluso dalla Quattordicesima pensionistica. Stando al decreto immesso nella scorsa legge di Bilancio, la misura della quattordicesima mensilità non è prevista per le pensioni che riguardano l’assegno sociale, le pensioni di guerra e l’invalidità civile.

RIFORMA PENSIONI, LE REGOLE PER ACCEDERE ALLA QUOTA 100

È tutto un parlare di Quota 100, non solo viste le parole del viceministro Garavaglia di due giorni fa, ma visti anche gli altri impegni che il Governo gialloverde ha messo in cantiere con relative coperture economiche tutte da impostare e decidere ancora. Il Ministro Di Maio avrà un bel da fare per provare a rendere effettiva la pratica del Contratto di Governo stipulato con Salvini e la Lega anche se dalle prime dichiarazioni di queste settimane iniziali di legislatura l’intenzione di insistere sulla Quota 100 sono tutte evidenti. Occorre a questo punto far capire ai lettori e ai “pensionabili” interessati cosa è dato sapere fino ad ora delle regole di accesso alla disposizione atta da Di Maio e Salvini per superare la legge Fornero. «Uscita dal lavoro quando la somma dell’età e degli anni di contributi del lavoratore è almeno pari a 100, con l’obiettivo di consentire il raggiungimento dell’età pensionabile con 41 anni di anzianità contributiva»: per ora la Quota 100 “resta” tutta qui, con regole, accordi, coperture, cifre e conseguenze ancora tutte da scrivere. Occorre ricordarlo e ricordarselo specie nel complesso mondo di annunci e slogan che tutti i partiti “adottano” nella propria comunicazione politica.

PENSIONI QUOTA 37: L’ETÀ DELLA PRECARIETÀ

Il Corriere della Sera nella sua edizione domenicale ha pubblicato un interessante studio condotto da Antonio Firinu, dell’Università di Cagliari, e Lara Maestripieri, dell’Università Autònoma di Barcelona sul problema della precarietà: la Quota citata, altro che 100 o 41 come si tratta sul fronte pensioni, è la “37” ovvero quando è stato stimato il limite tra chi si è salvato e chi no dal “mondo precario” di oggi. «Chi ha più di 37 anni sembra essersi salvato dalla crisi e dalla precarietà. Chi invece è sotto «quota 37» ha pagato a caro prezzo le conseguenze di un’economia in difficoltà e di un mercato del lavoro sempre più flessibile. È scivolato fuori dalla zona di sicurezza, quella del contratto pieno e a tempo indeterminato. Si è infilato in una selva, spesso oscura, fatta di part time involontario, cioè non chiesto ma subìto, contratti a termine, collaborazioni e lavoretti. Ed è finito nell’area del cosiddetto marginal work», spiega il collega del CorSera nel presentare lo studio dei due esperti accademici. A guardare nei documenti dello studio promosso dalla Fondazione Feltrinelli, nel 2009 i giovani tra i 25 e i 36 anni con un contratto a tempo pieno e indeterminato erano il 40,1%. Poi però nel 2016 sono precipitati al 32,3%, mentre nello stesso momento sono aumentati quelli che non hanno scelto ma dovuto accettare un contratto meno sicuro per poter entrare nel mondo del lavoro. «La deregulation ha portato a un peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro che non è stato distribuito in maniera equa tra le generazioni», spiegano i due ricercatori concludendo il loro studio. Insomma, un problema sono le pensioni ma un altrettanto problema (collegato e ugualmente grave) è quello dell’ingresso in un mondo del lavoro tutt’altro che “sicuro”.

Da sito web www.ilsussidiario.net

Pensioni, la mossa di Matteo Salvini per cacciare Tito Boeri dall’Inps: quale fedelissimo vuole piazzare al suo posto

11 giugno 2018 – da sito web www.liberoquotidiano.it

Da quando è nato il governo Lega-M5s, la poltrona del presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha cominciato a vacillare pericolosamente. Certo il numero uno dell’istituto di previdenza non ha fatto nulla in passato per togliere motivi a Luigi Di Maio e Matteo Salvini di accompagnarlo gentilmente fuori dal suo ufficio. Boeri infatti è stato protagonista di accese polemiche sul costo secondo lui insostenibile del reddito di cittadinanza, senza trascurare la sua totale contrarietà alla riforma della legge Fornero sulle pensioni.

Leggi anche: Fornero, l’ultimo sanguinoso trabocchetto: “L’adeguamento automatico…”. Di quanto tagliano le pensioni. 

Sulla poltrona di Boeri avrebbe già allungato lo sguardo la Lega, che attraverso Giancarlo Giorgetti avrebbe già indicato un nome ideale in Alberto Brambilla. Il leghista è stato l’autore di una parte cruciale per i leghisti del contratto di governo, quella che vorrebbe modificare gli attuali meccanismi di pensionamento, la famosa “quota 100”. Lo stesso Brambilla al Fatto ha detto: “Se dovessi scegliere col cuore, andrei all’Inps”. Resta da capire come il governo riuscirà a spodestare Boeri, che ha il mandato in scadenza solo nel 2019. Il Pd ci aveva provato, non riuscendoci fino in fondo. La Lega però potrebbe avere tutte le carte necessarie per spingere fino in fondo la riforma sulla governance dell’Inps, portandola a una maggiore collegialità nell’indirizzo politico, oggi ben più concentrato nelle mani del presidente. Per Boeri insomma, cresce la schiera dei nemici.

Riforma Fornero…. “Quota 100 sì, ma con età minima per la pensione a 64 anni”

Le idee  del Prof. Brambilla  (da leggere la  Sua intervista  integrale su La Repubblica di oggi 04 giugno) per Quota 100 ed altri interventi nella materia previdenziale  di  grande attualità e vivacità con il nuovo Governo e con i pronunciamenti del  responsabile del Dicastero, Luigi DI MAIO.

L’esperto di previdenza che ha contribuito a scrivere il programma del Carroccio conferma di voler fissare una soglia: “Significa di fatto annullare lo scalone Fornero che ha portato l’età a 67 anni dal 2019”. Un’interpretazione obbligata dalla spesa prevista di soli 5 miliardi, contro i 20 ipotizzati dall’Inps per rivedere totalmente la legge del governo Monti 

di F. Q. | 4 giugno 2018 da www.ilfattoquotidiano.it 

“L’idea è di mandare in pensione chi ha almeno 64 anni con 36 di contributi, oppure 41 anni e mezzo di contributi”. Alberto Brambilla, esperto di previdenza e già sottosegretario al Welfare nei governi Berlusconi tra il 2001 e il 2005, ha scritto la parte del contratto di governo Lega-M5s sul “superamento della legge Fornero”. In cui si parla dell’introduzione della “quota 100” come somma di età e contributi necessari per andare a riposo. Ma ora, dopo l’insediamento del governo Conte, in un’intervista a Repubblica Brambilla spiega che ci saranno dei paletti: la quota 100 non potrà essere ottenuta sommando, per esempio, 60 anni di età e 40 di contribuzioni. Di anni occorrerà averne almeno 64. Come inevitabile visto con uno stanziamento previsto di soli 5 miliardi di euro, come aveva spiegato al fattoquotidiano.it  Stefano Patriarca ex consulente di Palazzo Chigi sulla previdenza. 

“Consentire di uscire a 64 anni significa di fatto annullare lo scalone Fornero che ha portato l’età a 67 anni dal 2019″, chiarisce ora Brambilla, che dice di essere stato contattato per un incarico a fianco di Luigi Di Maio al ministero del Lavoro e dello Sviluppo economico. Domenica la questione era stata sollevata anche dal presidente dell’Inps Tito Boeri: “Se si parla di quota 100, vuol dire che un lavoratore che ha 60 anni di cui 40 di contributi potrà andare in pensione, stiamo creando questa aspettativa. Se invece si vuole porre una condizione anagrafica di 64 anni, questo è diverso, ed è bene essere chiari”, aveva detto Boeri. 

L’Inps aveva calcolato una spesa di 20 miliardi per attuare la ‘vera’ quota 100: “Non si conosce la proposta, ma guai a pensare che con quota 100 risolviamo ogni problema”, risponde Brambilla. “Bisogna puntare sui fondi esuberi o di solidarietà che esistono già per ogni categoria professionale”. Per l’esperto “intervenire in modo chirurgico sulla Fornero si può e in 3-4 mesi. Poi entro un anno il nuovo Testo unico delle pensioni. I costi sono sostenibili“. Brambilla ha poi difeso un altro ragionamento inserito nel programma di governo: “La spesa per pensioni, depurata dall’assistenza, pesa solo l’11% sul Pil, in linea con gli altri paesi europei e sotto il 18,5% comunicato da Istat a Eurostat“. 

Una posizione confutata da uno studio pubblicato prima della formazione del nuovo governo dall’Osservatorio dei Conti Pubblici, diretto dall’ex commissario alla spending review (e per pochi giorni premier incaricato) Carlo Cottarelli, secondo cui la spesa italiana per le pensioni rimarrebbe tra le più alte al mondo anche escludendo quelle sociali e per gli invalidi. 

POPOLO BUE

Comunque è evidente che i “Poteri Forti” hanno fatto la scelta politica  per noi. Il veto su SAVONA (non esattamente un economista furioso, inaffidabile e antieuro) ci ha portato, dopo quasi 3 mesi a un “GOVERNO TECNICO solo apparentemente NEUTRO”.

I milioni di voti dati democraticamente dagli elettori sono stati tramutati in “EURO ZERO”.Così il popolo bue verrà messo in riga con la UE e con i poteri della Commissione UE, in modo tale da tenere buoni i mercati, evviva COTTARELLI…”

Ma, attenzione PENSIONATI:

  1. questo governo predisporrà la LEGGE di BILANCIO e FARÀ 100 NOMINE (in 100 cariche pubbliche)
  2. questo governo DOVRÀ TAGLIARE a destra ed a manca, per sterilizzare l’aumento dell’IVA;
  3. questo governo POTREBBE TAGLIARE le PENSIONI e la spesa pensionistica. Perché ? Lo ha scritto lo stesso Cottarelli, pochi gg fa, ..”la spesa pensionistica italiana è troppo alta…..”. La SOLITA FAKE NEW, contro cui ci battiamo da anni .

L’ultimo studio di Cottarelli: in Italia la spesa per le pensioni tra le più alte al mondo

Una fake new, che soddisfa i Commissari UE……

PENSIONATI, ricordateVi delle scelte fatte in questo frangente quando tornerete a votare, sperando che alla fine ci lasceranno votare.

RicordateVi che:

– abbiamo incombenti sulle spalle i poteri forti europei;

– il nuovo voto sarà per salvaguardare il welfare;

contro una pseudo elite (avete sentito Mughini e Cazzola, con i loro delìri ?!) e contro una oligarchia che vorrà depauperarci dei nostri diritti di pensionati legittimamente acquisiti.

Infine, una domanda banale:

Se i 5S e la Lega/Centro Destra prenderanno dei voti per il 60% dei voti complessivi, cosa succederà? BELLA DOMANDA dalle MOLTE INCOGNITE….

PENSIONATI, attenti al vostro assegno pensionistico…..attenti…..!

Per questo, anche per questo, NOI LEONIDA CONTINUEREMO A BATTERCI IMPUGNANDO OGNI PROVVEDIMENTO CHE CI DANNEGGI!

(Roberto Mencarelli e Stefano Biasioli)

Le pensioni d’oro alla resa dei conti del nuovo governo

Articolo di Lorenzo Stevanato  (Magistrato amministrativo in pensione)

Nel «contratto di governo» siglato da Di Maio e Salvini, compare tra i punti programmatici anche il taglio delle pensioni d’oro che superino la soglia di 5000 euro netti mensili.

Precisamente, si tratta del punto 26 (pag 48 del “contratto”), laddove si esprime l’intento di eliminare “eccessi e privilegi” e, “per una maggiore equità sociale”, di procedere al “taglio delle cd. pensioni d’oro (superiori ai 5.000,00 euro netti mensili) non giustificate dai contributi versati”.

La formulazione di una tale inaudita proposta programmatica di governo, oltre a lasciare sconcertati perché si tratterebbe di un’imposta straordinaria sul reddito del tutto incostituzionale, si presenta  ambigua.

Infatti, non è chiaro se:

a) si vuole tagliare solo le pensioni che non sono “giustificate” dai contributi versati, limitatamente alla misura in cui non vi sia corrispondenza tra contributi versati ed importo pensionistico liquidato. Per esempio, una pensione di 10.000 euro, sorretta da contributi che “giustificherebbero” invece un importo di 9000 euro, sarà decurtata di 1000 euro;

b) oppure, si vuol introdurre un taglio lineare per tutte le pensioni superiori a 5000 euro netti mensili, nel presupposto che queste, per definizione,  non sono mai giustificate dai contributi versati e vanno conseguentemente tutte abbassate alla soglia massima di 5000 euro, in una visione pauperistica ed etica del sistema previdenziale.

Nella prima ipotesi interpretativa, qual è il parametro che “giustifica” o non “giustifica” le pensioni sopra soglia 5000, in rapporto ai contributi versati?

Viene da rispondere che il parametro più plausibile è il sistema contributivo introdotto dalla legge 335 del 1995 (cd. “Riforma Dini”) e confermato dalla cd. “Legge Fornero”.

In tale ipotesi, si calcolerà di nuovo l’intero montante contributivo di ciascun “pensionato d’oro” secondo il più recente e meno vantaggioso (rispetto al sistema retributivo) sistema contributivo.

Sennonché, il ricalcolo dipende da una serie di variabili, l’età del pensionamento, la storia lavorativa e la retribuzione percepita nel tempo: dunque, si presenta tecnicamente non facile e produttivo di disparità di trattamento, oltre ad essere in ogni caso lesivo dei diritti quesiti.

La seconda interpretazione, seppure meno aderente al testo letterale che fa riferimento alla “non giustificazione” dei contributi versati, e ancor meno costituzionalmente accettabile, sembrerebbe però più in linea con la proposta del M5S diffusa in campagna elettorale, finalizzata a realizzare un fantasioso ed irrealistico risparmio di spesa di 12 miliardi di euro.

La proposta, come appare evidente, è demagogica, ispirata al populismo più deteriore e ad una visione (cui non importa calpestare i diritti delle persone) etica e pauperistica del sistema previdenziale.

Si tratterebbe a tutti gli effetti di un esproprio, in violazione dei diritti quesiti di alcuni pensionati (e non di altri) i quali ricevono un assegno pensionistico che non è affatto un “privilegio”, ma rappresenta la restituzione assicurativa dei contributi, versati durante una vita di lavoro, sui quali hanno fatto legittimo ed incondizionato affidamento, ritenendo – a torto – di essere cittadini di uno Stato di diritto.

Si deve infatti considerare che la misura dei contributi versati dagli attuali pensionati (d’oro o no) era stabilita durante la loro vita lavorativa dalla legge.

Dunque, le loro pensioni sono sempre, per definizione, giustificate dai contributi versati nella misura stabilita per legge.

Comunque dovesse essere realizzato il taglio, balza poi agli occhi un’evidente e macroscopica disparità di trattamento, nel fissare grossolanamente una soglia, uno spartiacque non graduale.

Né è prevista la restituzione della parte “sterilizzata” del montante individuale di contributi versati durante la vita lavorativa.

Ma forse ci si sta preoccupando di poco, a fronte dello scenario che si prospetta di default dell’intero sistema economico e finanziario italiano.

http://formiche.net/2018/05/pensioni-conti-governo/